“L’offensiva terrestre è sul tavolo e le istruzioni del premier sono di prepararsi ad una profonda, lunga, continua e forte campagna a Gaza”. A dare la notizia, citando fonti ufficiali del governo israeliano, di una nuova possibile guerra israelo-palestinese è il sito Haaretz. Su disposizioni di Netanyahu 1.500 riservisti sono stati richiamati, mentre da ore proseguono il lancio di missili e i raid aerei su Gaza. Secondo stime palestinesi, i morti sarebbero già quindici tra cui due donne e un bambino. L’uccisione dei tre ragazzi israeliani a cui ha fatto seguito quella di un giovane palestinese, sembra dunque riaccendere il fuoco della guerra. Per Carlo Jean, intervistato da ilsussidiario.net, “Israele non aspettava altro che un episodio come quello tragico dell’uccisione dei tre ragazzi ebrei per avere una scusa con cui attaccare Hamas, il cui accordo recente con Al Fatah non è mai stato gradito”. Sempre secondo Jean, siamo davanti a una nuova missione di guerra inutile come le precedenti e di cui cominciano a essere stanchi gli stessi israeliani.



Il presidente israeliano uscente Peres e il suo successore Rivlin hanno pubblicato in questi giorni una accorata lettera aperta in cui alzano la voce contro la vendetta, il terrorismo e difendono il diritto alla vita di ebrei e arabi. Che impressione le fa alla soglia di una nuova possibile guerra?

Direi che si tratta di una lettera scritta più per dovere che per reale significato. Una lettera dovuta dopo la morte del ragazzo palestinese per non perdere comunque il sostengo dell’opinione pubblica occidentale, ma il problema rimane quello di prima, anche con questa lettera.



Cioè?

Il fatto che Israele possa sfruttare la morte di quei tre ragazzi per avere l’occasione di dare un colpo militare molto forte ad Hamas. Teniamo poi conto che Hamas è alleata dei Fratelli musulmani, per cui Israele ha il sostegno e il via libera dell’Egitto.

Intanto si prepara una nuova offensiva terrestre dell’esercito israeliano. Ne abbiamo ormai viste tante e i risultati poi non portano mai a nulla di definitivo. E’ d’accordo?

Direi di sì, e credo che gli stessi israeliani per primi siano stanchi di queste operazioni militari. Lo abbiamo visto l’ultima volta, con una quasi disfatta per Israele, che queste campagne non portano praticamente a nulla, a meno che Israele decida una campagna militare così forte da distruggere Hamas una volta per tutte. Ma non sarà così e alla fine anche questa operazione avrà un risultato solo.



Quale?

Si troverà una forma di compromesso con Hamas in cui Hamas condanna l’uccisione dei tre ragazzi israeliani così come Israele condannerà l’uccisone del giovane palestinese. 

Intanto però su Gaza piovono i missili, si parla della morte, tra gli altri, di due donne e un bambino.

Questo è scontato e purtroppo normale nel quadro medio orientale che si è costituito. Ma il posto in cui si risolveranno le cose saranno i colloqui tra Hamas e Al Fatah.

Che soluzione potranno portare?

Hamas dovrà accettare l’impostazione seguita da Al Fatah. Questo perché Netanyahu non accetterà mai uno stato palestinese in cui governi anche Hamas. La linea del premier israeliano è chiara, convincere i palestinesi che se hanno una possibilità è quella di convivere con Israele: stare con noi è molto meglio che stare con gli altri arabi. A meno di un intervento della Turchia che apra uno spiraglio differente.

 

Perché la Turchia?

La Turchia ha sempre avuto un ruolo rilevante nello scenario mediorientale, ma alle prese con i propri problemi interni è silente da parecchio, basti vedere come non abbia aperto bocca sul caso della Crimea. C’è da aspettarsi adesso una qualche significativa dichiarazione da parte turca, in vista di un possibile attacco israeliano.

 

Vista la quasi totale assenza americana in Medio Oriente, lei pensa che la visita di Papa Francesco, l’incontro di Roma con i leader palestinese e israeliano, stiano a significare un ruolo leader della diplomazia vaticana in Medio Oriente?

L’iniziativa del Papa ha certamente avuto una grande rilevanza mediatica, ma non credo possa portare a sviluppi concreti. Certamente il Vaticano svolge un ruolo importante soprattutto nel tenere aperti canali diplomatici di dialogo dove sia consentito discutere, ma tra le parole e i fatti c’è una grande differenza.

 

Anche perché la politica estera americana in Medio Oriente sembrerebbe assente…

No, non è assente, il problema è l’America che soffre la leadership di un presidente che si è comportato in modo sciagurato con il mondo arabo.

 

In che senso?

Si ricordi il discorso di Obama del 2009 in cui di fatto incoraggiava il mondo arabo a scendere in piazza e rivoltarsi contro i suoi leader, un discorso che non è stato certamente indifferente per la nascita della primavera araba. Poi la cosa è completamente scappata di mano a Obama ed egli non ha saputo più cosa dire. Oggi il presidente degli Stati Uniti gode di un consenso nei paesi arabi ancor più basso di quello che aveva il suo predecessore George W. Bush.