E così quello che in molti avevano pronosticato è purtroppo successo: nonostante le dichiarazioni del ministro dell’Economia Axel Kicillof, Dan Pollack, l’intermediario rappresentante dei fondi americani, ha dichiarato che non c’è stato nessun accordo nell’ultima riunione a New York e che quindi l’Argentina è ufficialmente in default. “A pagarne le conseguenze sarà purtroppo la gente”, ha aggiunto l’avvocato americano.



Tutto prevedibile, il default segna in un certo senso non solo la fine drammatica del kirchnerismo, della sua falsa “decade vinta”, ma sopratutto pone in risalto il suo epilogo stranamente coincidente con quello del menemismo degli anni ‘90. Seppur l’ex Presidente Carlos Menem ebbe la furbizia di passare la bomba innescata del default nelle mani del radicale De La Rua, che gli succedette come Presidente, nelle quali esplose con il triste dicembre del 2001, le similitudini tra i due regimi sono notevoli. In ambedue i casi: si tratta di evoluzioni del movimento peronisti; i loro leader si sono arricchiti a dismisura; sono scoppiati scandali che hanno coinvolto l’intero Governo; chi pagherà le conseguenze sarà una popolazione che soffre da troppo tempo situazioni paradossali e metafisiche, in un Paese che, seppur dotato di immense ricchezze, le vede dilapidate in modo sì scandaloso ma talmente evidente da lasciare attoniti gli osservatori stranieri.



È innegabile che le politiche seguite dal 2001 abbiano nell’immediato prodotto un benessere che, complice la favorevole congiuntura economica, avrebbe potuto permettere all’Argentina la tanto attesa prospettiva di un decollo, di una crescita in grado di proiettarla ai vertici del continente latinoamericano. Invece si è fatto il contrario di tutto, si è badato all’arricchimento di pochi, si sono spesi capitali ingentissimi solo per l’immagine e i media (il Governo è proprietario ormai dell’80% delle radio e televisioni locali), si è prodotta una statalizzazione massiva di interi settori dell’economia che sono serviti non per uno sviluppo ma più come serbatoio di voti. Idem per i piani sociali, dove cifre di tutto rispetto sono state spese ma non per sradicare la povertà, che sotto il regime kirchnerista è aumentata a dismisura, ma per mantenerla senza un vero e proprio piano di sviluppo e di creazione del lavoro. Tutte le politiche si sono fatte scudo di parte delle organizzazioni per i diritti umani, cooptate a suon di finanziamenti (e scandali) e trasformate nella cassa di risonanza del potere.



Si sono sviluppati piani economici fasulli o destinati a fallire, con misure drastiche che di fatto hanno bloccato l’economia perché senza senso, ispirate più a slogan politici che non a manuali di economia. E sopratutto non si è risolto il problema del debito, che invece di diminuire si è ingigantito perché, tanto per fare un esempio, il debito con i cosiddetti “Fondi avvoltoio” era di soli 50 milioni di dollari, ma i continui proclami della Presidente Cristina Fernandez de Kirchner di non pagarne un centesimo hanno trasmesso questa volontà al giudice americano Griesa, che due mesi fa iniziato un procedimento che si è appena concluso negativamente. E ora si devono pagare 1550 milioni.

Certo è che come sempre, dimostrando di non avere uno straccio di strategia, l’attuale Governo argentino è caduto in errori marchiani, spesso segnalati non solo dall’opposizione ma anche dai suoi stessi esponenti. È chiaro che ora si assiste alla consueta commedia della negazione del tutto, refrain di questa decade perduta, si accusano poteri forti per dissimulare le tattiche suicide e le decisioni spesso contraddittorie su questo e molti altri temi. Ma la realtà è quella che anche il visitatore meno attento può facilmente notare: quella di un Paese ormai nel baratro non solo di processi inflazionari sempre più galoppanti, di un’economia stagnante, di un’insicurezza che ha superato ogni limite, di interi settori della nazione ormai terra di nessuno nelle mani della delinquenza comune e del narcotraffico. È di questi giorni la notizia che dietro il cartello dell’efedrina, una sostanza medicinale base per la produzione di droghe sintetiche, ci sia anche un ex Ministro.

Di certo non si è mai nutrita nessuna simpatia per fondi che operano transnazionalmente nella speculazione su titoli spazzatura, ma sicuramente la problematica poteva tranquillamente essere risolta con una maturità che purtroppo non è mai stata parte del DNA kirchnerista, piena di proclami fini a se stessi e figli di un’epoca ormai morta e sepolta quasi dappertutto. Gli slogan portano solo danni, e purtroppo siamo all’inizio dell’ennesima dolorosa lezione che la pur straordinaria popolazione di questo bellissimo Paese pare non aver ancora appreso.

L’illusione peronista ha prodotto lo stesso risultato di sempre: un populismo demagogico che alla fine ha arricchito solo in pochi.