L’avanzata nel Nord dell’Iraq da parte dei guerriglieri dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante ha scatenato l’esodo di circa 100.000 cristiani verso la regione del Kurdistan. Qaraqosh, Tal Kayf, Bartella e Karamlesh sono ora in mano all’Isis. La situazione drammatica ha trovato subito la risposta della comunità internazionale: la Francia ha chiesto l’intervento del Consiglio per la sicurezza Onu mentre il presidente Barack Obama ha dato il via libera a raid aerei per aiutare le minoranze religiose prese di mira dai miliziani, al fine di “evitare un genocidio. “Io vorrei vedere dov’è che andranno a colpire e fino a che punto servirà per indebolire il potere di questi miliziani islamici” dice Camille Eid, professore dell’Università Cattolica e giornalista di Avvenire.
Cristiani in fuga, in massa, dalle città del Nord Iraq conquistate dalla milizie dell’Isis. Si parla di 100.000 persone che si stanno riversando verso il Kurdistan. Quanto è grave la situazione?
Si tratta di un’offensiva gravissima perché segna la fine quasi totale della millenaria presenza cristiana in Iraq. La situazione è disastrosa.
Gli jihadisti hanno tolto le croci delle chiese e bruciato testi sacri.
La questione della rimozione delle croci – e di tutti i simboli cristiani – è tipica di tutti i movimenti salafiti; è una loro azione preliminare. Lo abbiamo già visto in Siria: a Raqqa hanno alzato la loro bandiera nera sopra la chiesa armena dei 40 martiri. E lì hanno distrutto anche le statue.
Ma si rischia una persecuzione religiosa?
Più di così. Costringere la gente all’esodo, a emigrare, è persecuzione. Non possiamo parlare, poi, di persecuzione di cristiani rimasti visto che tutti sono fuggiti piuttosto che sottostare a una banda di terroristi, che vuole imporre una legge della giungla. Già per i musulmani è difficile sopportare i dettami imposti dall’Isis, figuriamoci quale possa essere il destino dei cristiani nel caso rimangano, sottostando per di più al pagamento della jizia. A Mossul si parlava a malapena di cinque famiglie cristiane rimaste, ma non si sa bene se sono stati costretti ad abbracciare l’Islam o meno.
La comunità internazionale si muove: Obama ha dato l’ok a raid aerei per evitare un potenziale genocidio.
Io vorrei vedere dov’è che andranno a colpire e fino a che punto servirà per indebolire il potere di questi miliziani islamici. Cercheranno, poi, di togliere l’assedio degli estremisti ai rifugiati – decine di migliaia – sul monte Sinjar o andranno a colpire i centri di potere ben noti a Mossul? Da quello che mi è sembrato di capire, i raid andranno a proteggere gli interessi americani: il consolato americano di Erbil e stoppare un’eventuale offensiva dell’Isis verso Baghdad.
L’avanzata dell’Isis continua e i peshmerga (guerriglieri curdi) e l’esercito iracheno hanno iniziato a collaborare. Cosa sta succedendo in un’area di per sé instabile? Quali sono rischi?
Allora, l’espansione dello Stato Islamico del’Iraq e del Levante era scontata: i suoi militanti hanno un’aspirazione diciamo mondiale con la restaurazione del Califfato Islamico e l’espansione in territori che non sono mai stati islamici
La collaborazione dei curdi, però, è venuta meno un po’ all’improvviso: si sono ritirati, prima, da Sinjad e, poi, dai territori cristiani. Mi chiedo se dietro a questi ritiri ci sia sotto qualche gioco politico…
Quali collegamenti e ripercussioni ci possono essere con il conflitto israelo-palestinese?
Forse in seconda battuta, ma in primo luogo le conseguenze si vedranno in Siria, Libano e Giordania. Al momento il conflitto tra Israele Palestina non è molto evocato nella propaganda dell’Isis, che non si è curato della guerra a Gaza. Adesso hanno obbiettivi più immediati, come cercare di arrivare a Baghdad.
Venendo dunque a Gaza, sono scadute le 72 ore di tregua umanitaria. Sono ripresi i bombardamenti e i morti
A Il Cairo, sede delle trattative, c’è stato un lungo braccio di ferro per prolungarla. Ma niente, il lancio di missili è ripreso…
I negoziati per una pace duratura come procederanno?
Non vedo all’orizzonte una pace definitiva, a meno che Abu Mazen riesca a imporsi sulla situazione. Ma è difficile.
(Fabio Franchini)