“L’Italia usi la sua base negli Emirati Arabi per creare un ponte aereo e salvare i cristiani che cercano disperatamente scampo dalle persecuzioni dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”. E’ l’appello dell’inviato di guerra Fausto Biloslavo, nel momento in cui si intensifica l’avanzata del Califfato ai danni delle minoranze religiose e dell’intera popolazione civile irakena. Ieri il premier Nouri Al-Maliki è stato deposto dal presidente della Repubblica e sostituito da Haider Al-Abadi, un imprenditore che ha trascorso 30 anni in esilio a Londra.



Biloslavo, come vede il cambio al vertice tra Nouri Al-Maliki e Haider Al-Abadi?

Al-Maliki ormai aveva fatto il suo tempo. Ha sempre trattato i sunniti con il muso duro e non è stato capace di fermare la clamorosa avanzata del Califfato. E’ stato quindi mollato prima da Washington e poi dall’Iran, che lo avevano sponsorizzato. Al-Abadi andrà visto alla prova dei fatti, perché non sarà semplice fermare l’Isis.



Lo Stato iracheno reggerà o si sfalderà?

Se Al-Maliki non cederà il passo, c’è il rischio che oltre alla minaccia sunnita estremista rappresentata dal Califfato si sviluppi una faida tra gli sciiti. Di fatto quest’ultima porterebbe a un’implosione dell’Iraq.

Quali sono le radici dell’odio religioso in Iraq?

Lo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante si rifà a un islam delle origini e talebano, il quale prevede che i cristiani possano o convertirsi, o pagare una tassa o morire. Nell’ottica di questo islam duro e puro non esiste altra alternativa. Va ancora peggio agli Yazidi, che sono considerati inferiori agli stessi cristiani. Per i sostenitori del Califfato, questa mistura di religioni e tradizioni che si rifanno ancora a Zoroastro e al culto del fuoco porta a identificarli con i “seguaci di Satana”. Per gli Yazidi non c’è quindi alternativa allo sterminio.



Che cosa ne pensa dei raid aerei americani?

Gli attacchi aerei americani sono un dejà vu. Ai tempi di Saddam, Washington aveva addirittura imposto una no fly zone e colpiva costantemente i tentativi di avanzata dell’esercito iracheno. Come è stato con Saddam, ancora di più oggi i raid aerei non sono una soluzione bensì un “cerotto” sulla ferita sanguinante provocata dall’avanzata del Califfato. E’ chiaro che ci vorrà di più e che al momento l’unica soluzione è armare i curdi perché resistano nella ridotta del Nord. Anche questa però non è una soluzione per tutto il Paese, e il problema riguarda l’intero Iraq che è ben più grande del Kurdistan.

Che cosa faranno a questo punto gli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti hanno fatto una sequela di infiniti errori in Iraq e in tutto il Medio Oriente, e temo che continueranno a farli. Con questa nuova minaccia in Iraq una volta tanto sembrano sulla stessa lunghezza d’onda degli iraniani, e forse dovrebbero iniziare a capire che l’asse americano va un po’ spostato dai sunniti agli sciiti.

 

Occorre un intervento militare in Iraq?

Purtroppo un intervento militare è necessario, nel senso che a rischiare di essere travolti non sono solo i curdi ma la stessa capitale Baghdad. Farlo però senza una strategia di lungo termine non risolverebbe nulla. L’Isis non si fermerà con quattro raid aerei, occorre vedere la cosa in un’ottica di più ampio respiro, in modo da risollevare le forze di sicurezza irachene e da ricacciare indietro la minaccia del Califfato, anche se non sarà assolutamente un’impresa semplice.

 

Che cosa può fare l’Europa in questa situazione?

Personalmente non capisco perché non si lanci un “SOS Cristiani”. Con la costosissima missione Mare Nostrum lo scorso anno abbiamo raccolto 100mila profughi, gran parte dei quali sono siriani musulmani che scappano dallo Stato Islamico dell’Iraq e del Levante, proprio come i cristiani iracheni. Questi ultimi però sembrano quasi esseri umani di serie B: per loro ci stracciamo le vesti, ma non siamo capaci ci muovere un dito.

 

Che cosa va fatto in concreto?

L’Italia ha una base negli Emirati Arabi dalla quale si fa la spola con l’Afghanistan. Eppure il nostro Paese, e l’Europa intera, non sono neanche capaci di organizzare un ponte aereo e andare a salvare i cristiani iracheni che vorrebbero trovare rifugio in Europa.

 

(Pietro Vernizzi)