Simone Camilli è morto mentre filmava alcuni esperti palestinesi che cercavano di disattivare una bomba inesplosa nella striscia di Gaza. Il videoreporter italiano aveva 35 anni e lavorava nelle zone calde del Medio Oriente da dieci anni. Il giornalista romano ha perso la vita a Beit Lathiya, nel Nord di Gaza, insieme al fotografo Ali Shehda Abu Afash, che era anche l’interprete di Camilli, e a tre artificieri arabi. Filippo Landi, corrispondente Rai da Gerusalemme, conosceva personalmente il video reporter italiano rimasto ucciso.
Come ha conosciuto Simone Camilli?
Camilli è arrivato dieci anni fa a Tel Aviv per un breve periodo di lavoro nell’Associated Press, e poi ha continuato a lavorare per diverse agenzie come producer in tutto il Medio Oriente. Quindi ha conosciuto una ragazza a Gerusalemme, in seguito diventata sua moglie, e la sua vita si è incardinata in questo angolo del mondo.
Quali sono i suoi ricordi personali di questo reporter di 35 anni?
Mi trovavo da poco a Gerusalemme come corrispondente Rai, quando mi chiamò il padre Pierluigi Camilli, che per molti anni ha lavorato al Tg1 ed è stato in seguito vicedirettore delle testate regionali Rai. Mi preannunciò l’arrivo di Simone in Israele, e il tono di quella telefonata era quello di un padre che parla all’amico dell’arrivo del figlio in una zona di conflitto.
Il padre di Camilli era preoccupato per la sorte del figlio?
Nella voce di Pierluigi Camilli si avvertivano chiaramente l’affetto e la preoccupazione che un padre ha nei confronti di un figlio già grande. Questa telefonata mi è venuta in mente ieri, quando ho ricevuto la notizia della morte di Simone, anche se all’epoca dissi a suo padre di stare tranquillo. Gli parlai come ci si rivolge a un amico e a un padre, anche se tanto io quando Pierluigi conoscevamo bene i pericoli propri di una zona di conflitto.
Simone rischiava spesso la vita nel suo lavoro?
Questo è un rischio che si corre spesso soprattutto quando si svolge un lavoro come quello di Camilli, che era sempre in prima linea. Il lavoro dei producer e dei fotoreporter collegati alle grandi agenzie internazionali è estremamente pericoloso, perché veramente si vivono sulla propria pelle i momenti più aspri del conflitto documentando le esplosioni e i morti.
Camilli come viveva i rischi legati alla sua professione?
Chiunque guardi la televisione e le immagini che arrivano dalle zone di guerra può comprendere i rischi della professione di videoreporter. Camilli era certamente una persona che amava la vita, anche perché aveva una bellissima moglie e due figli, e tutto si può dire di lui tranne che cercasse la morte. La guerra però non conosce pietà per nessuno. Il paradosso è che Simone è morto in una situazione tutto sommato sotto controllo, a fianco agli artificieri. C’è piuttosto da chiedersi quante centinaia di bombe inesplose si trovino oggi nella Striscia di Gaza.
Infine una domanda sull’attuale fase del conflitto. Com’è in questo momento la situazione umanitaria a Gaza?
La situazione a Gaza è appesa a un filo, in quanto si stanno attendendo i risultati delle trattative del Cairo. Il vero problema è il futuro della Striscia, in quanto i palestinesi chiedono un cambiamento e che il blocco totale abbia fine. Ora si apre uno spiraglio, grazie al fatto che le trattative sono svolte dai palestinesi in modo unitario. Al-Fatah e Hamas dopo anni sono di nuovo unite nella trattativa con gli israeliani. Il conflitto sta attraversando un momento di tregua, anche se la morte di Camilli testimonia che non si tratta di una tregua poi così pacifica.
(Pietro Vernizzi)