Tutto ebbe inizio in quel famoso, ma non subito compreso a fondo, “discorso del Cairo” del 2009. Quando Barack Obama, presidente degli Stati Uniti d’America, parlò apertamente di dialogo con i “nostri fratelli musulmani”. Fummo noi, in principio, a non capire. In quelle parole c’era un indizio che faceva la prova: fratelli, rimaneva solo da capire quali. A otto anni esatti dall’11 settembre, gli Stati Uniti volgevano il loro sguardo verso quella parte di mondo musulmano che fino ad allora era stata nel mirino e che occorreva sdoganare per dare il via ad una serie di sconvolgimenti a breve termine, di cui molte volte abbiamo parlato. Da quel giorno e fino alle rivoluzioni conosciute come “primavera araba”, i moderati divennero i cattivi, sui media e nell’opinione pubblica, i discriminatori e i malvagi censori della libertà religiosa, mentre gli estremisti divenivano improvvisamente i portatori del seme del progresso e dell’integrazione fra i popoli. 



Una propaganda ad hoc che preparava alle fallite rivoluzioni, con le quali gli Usa e parte dei poteri europei tentarono, sostenuti dalle monarchie del Golfo, di rovesciare lo status quo nordafricano e mediorientale, ponendo a capo dei governi arabi esponenti dell’estremismo organizzato, finora al confino.

Quel che accadde allora e quel che accade ancora oggi è cosa nota. L’Egitto che si rivolta a milioni in piazza contro Morsi che viene destituito, la Libia in preda al caos e agli scontri fin dall’assassinio di Gheddafi, la Siria che vede la vittoria di Assad e la sconfitta degli integralisti, che in massa si riversano verso l’Iraq. Un quadrante devastato dalle mire espansionistiche di alcuni Paesi, forti del silenzio-assenso del mondo arabo, di quel mondo arabo moderato che ha dovuto tacere per non finire nel tritacarne.



Oggi siamo alle prese con l’Isis, con il califfato di Abu Bakr Al-Baghdadi, nuovo principe del terrore dopo Osama bin Laden. Siamo alle prese con un’entità che ai più è parsa astratta fino al momento in cui, dopo le denunce ripetute nostre e di tutta la galassia moderata europea e araba, le lame hanno iniziato a tintinnare e a sporcarsi del sangue di innocenti che avevano la sola colpa di abitare in un Iraq dilaniato o di essere parte di una tribù considerata “infedele”, come gli Yazidi, oggi praticamente sterminati.  O di essere cristiani, a cui rimane la scelta fra la fuga nel deserto o la morte.



La diffusione del video della decapitazione del reporter americano James Foley, rapito da due anni e falsamente descritto in mano all’esercito regolare siriano, è un segno che la situazione sta divenendo difficilmente gestibile. I raid americani servono a poco, gli aiuti tamponano un disastro umanitario ormai conclamato. Il sostegno dei Peshmerga ha fatto molto ma serve qualcosa di più. 

Che fatalmente, dopo l’abbandono dell’Iraq nelle mani di terroristi ben conosciuti anche prima di quest’anno, gli Usa paiono restii a mettere in campo; anche Papa Francesco ha deciso di parlare con chiarezza e nettezza della possibilità di un intervento per “fermare”, ci ha tenuto a ribadire la parola, l’aggressione del terrorismo jihadista in Iraq. Il piano del Cairo ha dato i suoi frutti avvelenati: l’estremismo è risorto dalle ceneri della repressione dei “raìs” e avanza indisturbato verso l’Occidente. Laddove trova terreno fertile, cuori deboli e politici assuefatti da Twitter e intenti a risolvere una crisi economica costruita ad arte. Ormai congelati dal buonismo e dal gelido rispetto di un multiculturalismo che ha creato mostri. 

È un momento di lutto e di dolore per la morte orrenda di Foley e per la sorte dell’altro reporter che rischia di fare la stessa fine, ma è anche un momento di domande: dove sono gli altri rapiti in quel quadrante? Dov’è padre Dall’Oglio? Chi ha in mano vite innocenti che potrebbero presto essere sacrificate? Ecco, davanti a noi, il risultato della campagna denigratoria contro i moderati, accessoria all’ascesa dell’integralismo organizzato: coloro che hanno lottato e denunciato per anni, beccandosi processi e calunnie di ogni genere, oggi sono silenziosi, hanno preferito non esporsi, sono stati seppelliti dalla malvagità di chi, al di qua e al di là dell’Oceano, ha sponsorizzato il terrorismo, travestendolo da agnello impaurito.

A chi chiedere aiuto oggi? A chi spiegare che l’obiettivo è sempre e solo l’Occidente? Di chi fidarsi, quando coloro che avevano giurato di proteggere la pace nel mondo hanno armato i tagliatori di teste e permesso l’infiltrazione nella società di bombe ad orologeria pronte ad esplodere dietro la nostra porta?