C’è chi ha lasciato il proprio corpo appeso a una croce ed è salito in cielo, chi ha lasciato il cuore a casa propria e se n’è andato, chi si è scelto per compagni la fame, la sete, le lacrime ed è fuggito. Tutti loro potevano evitare queste pene, sarebbero bastate poche parole per dichiarare che rinunciavano alla propria fede e avrebbero avuta salva la vita. Invece, è stata loro imposta una scelta e hanno scelto: hanno rifiutato la vita scegliendo l’eternità, hanno rifiutato la falsità scegliendo la verità. Hanno offerto a tutti i credenti una testimonianza immersa nel dolore, attestando che una vita senza fede non val la pena di essere vissuta. 



Nell’era dell’immagine, del dubbio, del nichilismo, hanno scelto di incarnare la certezza. Quel che succede in Iraq, in Siria e in Terra Santa non è un crimine che ha per protagonisti gruppi di assassini disumani. È un’epopea eroica che ha per protagoniste centinaia di migliaia di persone comuni come me e voi; centinaia di migliaia di persone che hanno scelto di abbandonare tutti i loro beni pur di non rinunciare alla libertà dello spirito; centinaia di migliaia di individui, come me e voi, che hanno dimostrato che la persona è più forte del potere.



Di fronte a questa testimonianza, vorrei dire a Papa Francesco che io e milioni di musulmani preghiamo assieme a lui, avendo fede che un Dio giusto e misericordioso, che ama i propri figli, ascolterà le sue preghiere e risponderà. Vorrei dirgli che non daremo ascolto a chi è mosso dal desiderio di vendetta, a chi prepara il terreno per una grande guerra in nome della religione. Non difenderemo chi ha perso la vita per conservare la propria fede rinunciando alla nostra. Non rinunceremo alla nostra fede nella pace, non rinunceremo alla nostra fede nell’amore.

Vorrei dirgli che io e milioni di musulmani che hanno cambiato la loro fotografia sui social network, mettendo al suo posto, in solidarietà con i cristiani, la lettera “nun” che sta per Nazareno; che io e i musulmani che sono scesi in strada per proteggere con i loro corpi le chiese egiziane dagli estremisti; che io e tutti i dotti religiosi islamici che hanno condannato i crimini di quel gruppo di terroristi, dissociandosi da loro – tanto che il mufti saudita, noto per la sua ortodossia, lo ha descritto come il nemico numero uno dell’islam – senza peraltro trovare alcun mezzo d’informazione occidentale che riportasse la loro condanna; che io e gli intellettuali che hanno scritto migliaia di articoli per condannare questi crimini; che io e le vittime sunnite, sciite, yazidi e laiche, noi tutti lo ringraziamo per averci dato uno spazio nelle sue preghiere per tutte le vittime.



Lo ringraziamo per averci invitato a essere compagni delle sue preghiere, rendendoci in tal modo partecipi sia del dolore sia della speranza. Preghiamo con lui per la salvezza delle anime di quegli assassini, di chi ha facilitato il loro spostamento in ogni parte del mondo, fino in Siria e poi in Iraq, di chi ha fabbricato le armi che usano per uccidere e di chi gliele ha vendute. Preghiamo per la salvezza delle anime di tutti coloro che credono nella violenza e la invocano, inconsapevoli del cerchio della violenza che, dopo due decenni, ancora non finisce. Lo ringraziamo, perché oggi è l’unico uomo al mondo che invita alla preghiera e non alla guerra.

 
(Traduzione dall’arabo di Elisa Ferrero)