Anche nella jihad ci sono i privilegiati, i “capi” che vivono in case o in alberghi con ogni comodità, mentre i combattenti sono costretti ad accamparsi in luoghi di fortuna e con scarsi rifornimenti. Lo ha scritto in un quaderno Giuliano Ibrahim Delnevo, il ventitreenne convertito all’Islam partito da Genova che sarebbe stato ucciso l’anno scorso in Siria da un cecchino. Il suo corpo non è stato mai ritrovato, mentre il diario è stato recuperato dalla madre durante uno dei suoi viaggi per tentare di avere notizie del figlio: a consegnarlo alla donna sarebbe stato un gruppo di jihadisti ceceni, tra cui anche degli europei, quando è riuscita a raggiungere al Qusayr, una cittadina nei pressi del confine libanese che fino al giugno 2013 era controllata dai ribelli siriani. Secondo quanto riportato da alcune agenzie di stampa, Delnevo sarebbe stato “ferito da un cecchino – ha detto la madre – Non so se poi è stato ucciso o portato in una prigione di Assad”. La dichiarazione di morte del ragazzo “non credo sia mai arrivata”, ha spiegato invece uno degli avvocati che al tempo rappresentava legalmente la famiglia. “Nonostante le ripetute richieste alla Farnesina, la madre non ha mai avuto riscontri in questo senso dal console per la Siria”. Secondo quanto riferito dalla Farnesina, invece, Delnevo sarebbe stato ucciso da un cecchino: “Ci risulta, in accordo con quello che dicono anche alcuni famigliari, che il corpo di Delnevo sia sepolto in prossimità di Aleppo, nella zona degli scontri. Recuperarlo al fine di un’identificazione certa in questo momento presenta fortissimi rischi, di fatto è quasi impossibile. Il console Caporossi, che si trova a Beirut, ha fornito alla famiglia le informazioni in nostro possesso”.