“Mio padre mi ha insegnato che la religione non è combattere, ma l’amore e il perdono”. Sono le parole di Mohammed, reclutato dai jihadisti quando aveva 13 anni, contro il volere del padre, che riuscì a liberarlo. Oggi Mohammed vive in Turchia sotto protezione con la sua famiglia. Ma è difficile dimenticare il passato, le decapitazioni e le violenze a cui è stato costretto ad assistere o la morte di un suo amico di 14 anni, avvenuta mentre stava combattendo. Difficile dimenticare, come ha raccontato alla Cnn. “I miei amici e io stavamo studiando nella moschea quando i jihadisti ci dissero che dovevamo arruolarci nell’Isis. Io volevo andare, ma mio padre me lo impedì”, racconta. Così suo padre fu minacciato di morte, e il ragazzo fu costretto ad andare. “Per 30 giorni ci svegliavamo, facevamo jogging, colazione e quindi a lezione di Corano e del profeta. Poi ci insegnavano ad usare le armi, i kalashnikov e altre attrezzature militari”, prosegue il giovane. Alcuni militanti – racconta – erano gentili, ridevano e scherzavano con le giovani reclute, altri invece costringevano i ragazzini ad assistere a cose orribili. “Portavano i bambini al campo per frustarli”, dice Mohammed. “Quando andavamo nella moschea ci ordinavano di andare il giorno successivo in un posto ad un orario ben preciso per assistere a decapitazioni, frustate e lapidazioni. Abbiamo visto un giovane crocifisso per tre giorni, dopo che si era rifiutato di digiunare per il ramadan, e una donna uccisa a colpi di pietre perchè aveva commesso adulterio”. Mohammed ha imparato l’importanza delle preghiere e del digiuno, ma non ha compreso perché dovesse combattere gli infedeli. Ai ragazzini veniva fatta giurare fedeltà al leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi. Poi terminato l’addestramento, venivano fatti combattere. Oggi Mohammed non vuole tornare a scuola perchè dice che è troppo tardi, ma vorrebbe imparare il mestiere del padre, fare cioè il commerciante. (Serena Marotta)