Rischierò di apparire in qualche modo impopolare, cosa che peraltro non mi riesce molto difficile finendo però spesso per aver ragione, se dico che l’indagine sui cinque presunti “reclutatori” di jihadisti che si sta conducendo in Veneto non mi lascia per nulla stupita.

C’è una larga fetta di società civile musulmana moderata che da oltre dieci anni denuncia senza sosta la presenza del jihadismo in Italia; non è dunque corretto pensare che oggi si sia fatto chissà quale passo in avanti, visto che arresti, perquisizioni e sequestri si susseguono, nella galassia jihadista nostrana, da molti e molti anni. Nomi, cognomi, luoghi e obiettivi sono ben noti a chi ogni giorno monitora la rete e “bazzica”, come si dice a Roma, nei ritrovi abituali di certi ambienti.



Non nego che la sensazione suscitata dal sapere, o meglio dal ricordare, che in Italia il jihadismo è presente faccia molto umore, soprattutto mentre nel mondo islamico si abbatte la tempesta dell’Isis e del Califfato di Al Baghdadi che mette a rischio gli equilibri di tutto il Mediterraneo e dell’Europa stessa. Ebbi a parlare di queste vicende anche in altri pezzi su questo giornale, dicendo a chiare parole che l’integralismo jihadista non ha mai fatto mistero di essere ormai fra di noi, di essere parte integrante del nostro tessuto connettivo. Di essere uno dei tasselli di cui la nostra società si compone. Dalla Calabria alla Puglia, passando per il Veneto e la Sicilia, dove viene scoperto una sorta di “campo di addestramento” nei pressi di Catania, il jihadismo militante e proselitista c’è, esiste e sarebbe il caso di smetterla con il buonismo suicida di chi vede ma non denuncia perché altrimenti qualcuno si offende.



Non è certo stata la decapitazione del povero James Foley da parte di un ragazzo nato e cresciuto in Inghilterra e ora arruolato nell’esercito terrorista dell’Isis a farci scoprire che le seconde generazioni, in Europa e in Italia, sono le peggiori armi di autodistruzione della società che il jihadismo ha nelle sue disponibilità dietro la porta di casa nostra. C’è però la sensazione, e questo va sottolineato, che dopo le note vicende giudiziarie che hanno riempito le cronache di questi anni, il caso di Abu Omar su tutti, ci sia una certa ritrosia, quasi per timore di finire in un tritacarne dal quale si esce profondamente segnati. Come se si pensasse che chi tocca un certo ambiente legato all’Islam più integralista ne paga prima o poi le conseguenze.



Eppure nei meandri della nostra società le crepe sono evidenti. Molti sono partiti dall’Italia per la Siria e non sono più tornati, molti ancora staranno sicuramente partendo sfruttando canali di transito non conosciuti che portano dritti dritti al jihad e alla morte. Per cui nessuna sorpresa, almeno per noi che da un decennio li denunciamo beccandoci denunce, querele e intimidazioni, quando le proposte economiche con tanto di valigetta non vanno a buon fine. Eh si, perché la leva del jihadismo e dell’estremismo in genere ha il potere del denaro dalla sua parte, con insospettabili che da un giorno all’altro cambiano orientamento aprendo una moschea in un garage e affievolendo man mano l’originario impeto battagliero tipico di chi combatte contro l’integralismo.

La forza dei moderati lentamente va perdendo di intensità, sotto il fuoco incrociato delle campagne denigratorie di certa stampa legata a catena e guinzaglio e delle valigette nere come il petrolio che comprano anche gli animi più coraggiosi. C’è poi, in ultimo, la questione sbarchi e integralismo. Il pericolo che ci siano jihadisti infiltrati fra i migranti che sbarcano sulle nostre coste c’è ed è concreto, ma nessuno pare voler ascoltare e l’ultima caramella amara che ci rimane da inghiottire è che da Novembre Mare Nostrum diventerà “Frontex Plus”, laddove il plus rischia di divenire addirittura peggiorativo. Peccato che a Novembre, con il mare che si increspa e il tempo che peggiora, praticamente gli sbarchi si azzerano o prendono altre vie, rimanendo noi totalmente inermi da oggi fino a quel momento. Non sapendo chi, fra quei disperati che rischiano la vita pagando fior di quattrini per attraversare un mare che spesso li inghiotte, arrivi qui solamente per andare ad ingrossare le fila dell’estremismo.

Su quei barconi, che tanto piacciono ad una certa politica che ha fatto degli immigrati uno squallido strumento di propaganda, si annida il pericolo che noi stessi scegliamo di far entrare, in un gioco suicida che assomiglia tanto ad una roulette russa: non si tratta di capire se arriverà, ma solo di capire quando.