Notizie in continuo mutamento dall’insanguinato territorio mediorientale. Dopo aver infatti rifiutato di partecipare all’incontro al Cairo con i palestinesi, Israele ha annunciato nella serata di ieri un ritiro unilaterale delle sue truppe dalla striscia di Gaza, ma non prima di aver concluso l’operazione di chiusura dei tunnel di Hamas. Un conflitto comunque ancora in sospeso, con il conto delle vittime che si è fatto altissimo mentre, nonostante Hamas smentisca, un soldato israeliano sarebbe stato fatto prigioniero. Tel Aviv ha subito lanciato la caccia. Sedicimila riservisti nelle scorse ore erano state richiamate al fronte andando ad aggiungersi ai circa 60mila soldati israeliani già impegnati nel conflitto. Netanyahu aveva già confermato che le operazioni militari non sarebbero cessate fino alla completa distruzione dei tunnel palestinesi. Intanto l’Onu ha accusato Tel Aviv di crimini internazionali e gli Stati Uniti di fornire armi a Israele. Per Filippo Landi, contattato da ilsussidiario.net, Netanyahu sa di poter andare avanti a piacimento perché davanti non ha nessuna forza diplomatica in grado di fermarlo. Non solo: “Il grande numero di civili uccisi fino a oggi fa parte di una strategia militare ben precisa, solo in rari casi sono vittime di errori. Israele sta cercando di sradicare del tutto la presenza palestinese in ampie zone della striscia di Gaza per un obbiettivo preciso”. In questo contesto, aggiunge Landi, spicca il quasi totale disinteresse per il conflitto in atto da parte dei paesi arabi e anche dell’Iran. Il motivo? Ce lo spiega lui.
Netanyahu ha detto apertamente che l’offensiva militare non cesserà fino alla completa distruzione dei tunnel. Realisticamente, questo in termini di impegno militare e di tempo cosa può significare?
Il governo israeliano ha ormai dichiarato ufficialmente che i tunnel che collegano Gaza con il territorio israeliano sono l’obiettivo principale dell’offensiva. E’ evidente che questo significa un cambiamento in corso della strategia militare.
In che senso?
Per anni e anche all’inizio di questo conflitto l’obiettivo israeliano era fermare i razzi che partono da Gaza. I tunnel invece come si è venuto a scoprire a conflitto in corso sono la concreta possibilità che i miliziani si introducano all’interno di Israele. Come appare evidente questo obbiettivo militare dichiarato sembra un obbiettivo per giustificare una azione militare più in generale che ha forse un altro obbiettivo.
Quale sarebbe?
Indebolire Hamas agli occhi dell’opinione pubblica palestinese. Quindi la risposta alla sua domanda iniziale è che non c’è da aspettarsi un esito militare da questa guerra, ma ci sarà da fare una valutazione politica.
Che cosa intende esattamente?
Fin quando Netanyahu riterrà di poter reggere l’impatto delle sue azioni sull’opinione pubblica internazionale e fino a quando il rapporto con gli Usa e le Nazioni unite già peraltro compromesso diventerà per lui intollerabile, la guerra proseguirà. Solo in quel momento scatterà una valutazione politica che farà fermare il fuoco dell’esercito israeliano.
Lei ha citato Onu e Usa: al momento sembrano del tutto incapaci e impotenti a gestire la situazione, che ne pensa?
E’ evidente che non sono in grado di gestire questa situazione, ecco perché Netanyahu ritiene di avere la possibilità di andare avanti perché non ha nessuno che glielo impedisca. Però c’è da considerare un altro elemento.
Quale?
Sicuramente il governo israeliano sta svolgendo una azione che punta a ridurre il peso di Hamas nello scenario palestinese, ma il numero dei civil che sono morti purtroppo anche a giudizio dei funzionari delle Nazioni unite che sono a Gaza non è determinato solo da errori rispetto invece a una volontà di colpire in modo mirato.
Intende volontà precisa di colpire i civili?
L’alto numero di civili morti è anche legato a deduzioni strategiche che mettono in conto un numero di civili morti con l’obbiettivo di ripulire alcune zone di Gaza per renderle per un certo periodo innocue. E’ una scelta strategico militare di grande rilevanza tanto è vero che alcuni funzionari Onu parlano di violazione del diritto internazionale, non più di errori. Questo elemento probabilmente il governo israeliano non lo ha valutato in tutta la sua dirompente conseguenza per il futuro di Israele.
E’ sbagliato dire che i paesi arabi a parte frasi di circostanza sembrano disinteressarsi di questo conflitto?
No, non è sbagliato, ma le ragioni sono molto chiare. Il motivo di questo disinteresse nasce da quello che è accaduto intorno alla Palestina negli ultimi due anni.
Cioè?
In Egitto in modo particolare c’è un governo militare che ha duramente represso nel sangue e anche con enormi retate i fratelli musulmani. Quindi l’Egitto non ha più la figura del mediatore che aveva sempre avuto tra le due parti.
E che ruolo ha?
Tutti coloro che si sono chiesti come mai Hamas avesse rifiutato la proposta egiziana accolta invece da Israele, avevano dimenticato che in questo momento l’Egitto non è più mediatore ma è vicino a Israele. E’ paradossale che siano stati gli Usa a dover proporre attraverso Kerry una bozza di cessate il fuoco che comprendeva anche alcune richieste di Hamas, quelle tradizionali come estendere i limiti della pesca per i palestinesi oltre le acque israeliane o la possibilità di traffico di persone e commercio tra Gaza e i paesi confinanti. Tutte richieste respinte da Israele ma è interessante che siano stati gli americani ad avanzarle mentre erano totalmente assenti da parte egiziana.
Dunque Hamas è isolata nel contesto islamico?
I governi arabi forse con eccezione di Qatar e Turchia puntano a distruggere o indebolire i fratelli musulmani al loro interno e cercano di sconfiggerli insieme a Israele con un gioco di violenza inaudita visti i morti che si registrano.
E l’Iran, da sempre acerrimo nemico di Israele? Sembra fuori dai giochi anche lui.
Sia Turchia che Iran che, ricordiamolo, non sono paesi arabi, si sono mossi esprimendo la solidarietà a parole ma nel caso iraniano non ci sono stati atti eclatanti contro Israele.
Perché?
Perché da parte iraniana si cerca di mantenere il rapporto con la comunità occidentale in particolare con gli Usa che ha portato ai primi accordi sul nucleare e su questo terreno l’Iran non vuole retrocedere. Non vuole essere tirato dentro il conflitto perché quegli accordi contestati da Israele sono in questo momento un successo per Tehrean nello scacchiere internazionale.