“La radice degli attacchi contro i cristiani in Iraq, Pakistan, Siria e Nigeria è la stessa, e ad accomunarli è la matrice ideologia che utilizza la religione per imporre a tutti la propria visione. Anche se le persecuzioni sono più forti dove c’è un’instabilità politica”. A evidenziarlo è Paul Jacob Bhatti, presidente della Shahbaz Memorial Trust, una fondazione in onore del fratello ucciso in Pakistan dai fondamentalisti islamici il 2 marzo 2011. Ieri Paul Bhatti ha parlato al Meeting di Rimini nel corso di un incontro dal titolo “Testimoni di libertà”.
Com’è la libertà religiosa nell’attuale situazione di instabilità politica del Pakistan?
In Pakistan c’è una grave instabilità non solo politica ma anche economica e religiosa, se pensiamo che ci sono svariate divisioni tra cristiani e musulmani. La situazione dei cristiani, che appartengono alla classe più debole, è direttamente proporzionale alla situazione generale del Pakistan. Più è instabile il governo e più aumenta la violenza nei confronti dei cristiani e il numero di quanti vogliono imporre una filosofia radicale. A essere vittime di questa imposizione sono del resto anche le sette musulmane più deboli rispetto alle altre.
A che cosa è legato il miglioramento della vita dei cristiani pakistani?
I miglioramenti sul piano della libertà religiosa saranno impossibili fino a quando ci sarà un’instabilità nel Paese. La conseguenza è infatti che non si riescono a fare le riforme, non c’è un perseguimento di determinate decisioni, non si riesce a fare applicare la legge. C’è tanta gente di buona fede che vorrebbe una convivenza pacifica in Pakistan, ma non trova spazi in un ambiente che non permette loro di esprimere le proprie istanze.
Qual è la sua valutazione di quanto sta avvenendo in Iraq?
Quella dello Stato islamico è un’ideologia terroristica che ha dei legami in tutto il mondo. Nel nome della religione si colpiscono le persone più deboli come i cristiani. Quanto sta avvenendo in Iraq è motivo di grande preoccupazione per tutti noi, che sentiamo i cristiani del mondo come una famiglia unica figlia della stessa madre, cioè la Chiesa. In Pakistan come in Iraq, in Nigeria come in Siria sentiamo che la sofferenza dei cristiani è la stessa, in quanto persone deboli e innocenti sono uccise dai musulmani per la causa della loro fede.
Le persecuzioni dei cristiani in Pakistan e in Iraq hanno una radice comune?
Sì, perché l’ideologia è la stessa e queste correnti si sostengono reciprocamente tanto in Pakistan, quanto in Siria e in Iraq. Questo fatto ci preoccupa, anche perché in questo momento c’è una grande instabilità politica e gli stessi confini tra un Paese e l’altro non sono così netti.
Secondo lei si tratta di un’ideologia politica o religiosa?
Io la considero un’ideologia terroristica, non è né religiosa né politica. Nessuna religione permette di uccidere o morire in nome di Dio, e i terroristi strumentalizzano la religione per imporre la loro filosofia radicale.
Che cosa possono fare i cristiani del Medio Oriente in questa situazione?
I cristiani del Medio Oriente si trovano a essere una minoranza per un doppio motivo: da un lato perché sono numericamente di meno, dall’altra perché hanno poco potere e sono più deboli. Hanno quindi bisogno di un sostegno internazionale che li aiuti a uscire da questa crisi.
In che modo l’Occidente può aiutare i cristiani perseguitati?
L’Occidente può fare molto, e il suo primo compito è rendersi conto della gravità del problema e del fatto che va risolto a livello internazionale. L’Occidente è conosciuto per il rispetto dei diritti umani, e quando i diritti sono violati in questo modo la sua presenza può aiutare non solo a tutelare i soggetti più deboli, ma anche a identificare le cause di base e a cercare dei mezzi per superare le crisi.
(Pietro Vernizzi)