Si vive e si cresce attraverso degli incontri reali e noi arriviamo ad esistere socialmente solo a seguito di questi. Per Alexsandr Filonenko il volto di ciascuno di noi entra nel mondo reale solo attraverso l’altro che lo vede e, nella misura in cui dietro il nostro volto c’è la verità della nostra intera persona, allora: “il mistero della mia vita non mi è accessibile che attraverso lo sguardo di chi mi guarda”. Quest’analisi strettamente filosofica si è inverata in fatti concreti: se per gli analisti e i politologi la folla riunita per settimane nella piazza ucraina di Majdan ha fatto emergere un desiderio, scatenato un conflitto e svelato una strategia (il desiderio di appartenenza alla casa europea, il conflitto con le aree filo-russe, la strategia di ricostituzione della centralità politica da parte della Russia) per Alexander Filonenko la rivolta di Piazza Majdan ha svelato ben altro: l’avvenimento di un incontro concreto del quale il passaggio dall’illusione dell’utopia alla coscienza di essere periferia ha costituito l’elemento di partenza. Ripercorrere una tale esperienza è tanto più importante quanto più a Majdan ha visto la luce una rilettura dell’uomo, una nuova antropologia.
Di questa nuova antropologia la sensibilità religiosa è la chiave di lettura essenziale. Infatti, affinché una tale coscienza di perifericità non si riduca ad alimentare un realismo rinunciatario o peggio, a fornire munizioni emotive all’ennesima rivolta contro il centro o quello reputato tale, ma sia invece compresa come una circostanza di liberazione dalla quale scaturisce la fondazione di un nuovo soggetto, è necessaria una consapevolezza religiosa, una coscienza strutturata da una particolare concezione di Dio. È necessario convincersi che Dio non risponde alle nostre preghiere con l’invio di un angelo, cioè con la precipitazione del trascendente dentro il quotidiano, bensì con delle circostanze, qualunque sia l’ordine di importanza che le caratterizza. La coscienza di essere periferia diventa allora la circostanza attraverso la quale Dio possa ricostruire una consapevolezza ed una dignità tutte nuove.
Una tale nuova dignità comporta certamente la scoperta dei valori europei, ma questi sono completamente rivisitati da un nuovo profilo umano che possiede determinate caratteristiche. La prima di queste è la coscienza da parte dell’uomo della propria perifericità e della propria fragilità. Solo un tale radicale realismo lo pone nella posizione di essere mendicante, rompendo così l’illusione di autonomia e di autoreferenzialità nella quale l’uomo contemporaneo così facilmente precipita. L’esperienza di Majdan, secondo Filonenko, è stata allora e prima di tutto un’esperienza di vulnerabilità e una tale consapevolezza ha tanto più la possibilità di essere fondativa di un nuovo soggetto quanto più, attraverso le lenti della consapevolezza religiosa, scopre la vulnerabilità come una delle qualità di Cristo stesso.
Ora è proprio grazie ad una tale rilettura valorizzante della vulnerabilità che la pazienza diventa una virtù. Anziché sfociare nella rassegnazione prepara la speranza. Un popolo che si scopre vulnerabile e periferico, una volta che arriva a considerare una tale coscienza come una delle circostanze attraverso le quali Dio risponde alle proprie preghiere, non può non manifestare una speranza tanto più indomabile quanto più alimentata dalla convinzione che Dio agisce.
Ma la consapevolezza della propria perifericità e della propria vulnerabilità alimenta anche qualcos’altro: la capacità di essere riconoscenti per ogni rapporto umano che arriva, “per ogni respiro libero”. La gratitudine verso Dio è una diretta conseguenza della consapevolezza della propria povertà di spirito. Proprio per questo l’uomo canta. Il canto di lode verso Dio è l’espressione conseguente di una tale gratitudine. “L’essenza della teologia non consiste nel dare un giudizio bensì nel cantare Dio”; quest’affermazione di Dionigi l’Aeropagita diventa una virtù costitutiva dell’uomo nuovo.
Ed è in un tale contesto che l’uomo si rende testimone ed agisce come tale. Infatti, come dice il metropolita Antonij “il frutto della vita è la gratitudine, ma questa deve portare frutto”. L’esperienza della periferia non produce solo gratitudine per ogni incontro, essa è anche luogo di educazione al giudizio ed alla compassione, una spinta alla testimonianza. Il recupero dell’umano arriva così a porre la tenerezza al posto dell’indifferenza.
L’analisi di Alexsandr Filonenko produce così un’antropologia che nasce e si consolida all’interno di un avvenimento storicamente visibile, un avvenimento che è riletto a partire da una presenza efficace dell’Altro che comunica con l’uomo attraverso le circostanze. La prospettiva tracciata rilancia su interrogativi di importanza straordinaria. Un Dio che parla attraverso la nostra vulnerabilità e la nostra ricorrente marginalità; un Dio che attraverso questo ci spinge alla pazienza, alla speranza, alla gratitudine, al giudizio, alla testimonianza ed alla compassione finisce immancabilmente per fondare un uomo nuovo, un uomo che edifica e che costruisce.
Se il destino non ha lasciato solo l’uomo, l’analisi di Filonenko che parte dall’esperienza di una delle periferie del mondo vuole essere costitutiva di una nuova concezione dell’uomo, direttamente antitetica a quella attualmente dominante. All’interesse si contrappone la gratitudine, al conflitto la pazienza, all’individualismo la testimonianza, la compassione e la tenerezza. Se è Dio che rende possibile tutto questo attraverso una dinamica dell’incontro e della relazione con gli altri, non si può non andarne alla ricerca.