E adesso i cristiani dell’Iraq sono senza tutto, anche senza scarpe. In fuga da chi li odia solo ed esclusivamente per un nome, quello di Gesù.

Non spetta a me parlare di “che cosa fare” – ci sono testimoni e autorità infinitamente più competenti e addentro alla situazione che possono suggerire e proporre iniziative o mediazioni – quello che mi interessa è raccontare come appaiano le cose da questa parte del fronte, ossia dalle più remote periferie di un paese “cristianissimo sulla carta” come l’Italia. Per questo motivo cercherò di delineare poche, ma non banali, considerazioni.



Anzitutto, come prima cosa, va detto che ciò che balza agli occhi è che l’Occidente (ossia il sistema che tiene uniti l’Unione Europea, il Canada e gli USA) non esiste più e, a parte qualche spot, non ha effettivamente altro collante che quello economico. Ciò che ancora spinge i rappresentanti di questi grandi paesi ad incontrarsi e a collaborare non sono le comuni visioni del mondo e della vita, ma gli intrinseci legami finanziari o gli anniversari delle “vecchie e gloriose battaglie” vinte sul campo ormai settant’anni fa. Infatti si può senza dubbio dire che decenni di rivendicazioni, di referendum e di sentenze delle Supreme Corti hanno spazzato via l’identità occidentale rendendola oggi un contenitore incapace di porre questioni di fondo, se non quelle che interessano le ricche lobbies che promuovono la politica nel contesto nazionale di questi paesi. Per questo motivo un simile Occidente non riuscirà a far niente per i cristiani di Iraq, se non “convocare qualche riunione” di quell’inutile accozzaglia di politically correct che è diventato l’ONU, o lanciare qualche razzo nei “cosiddetti punti strategici” per mettersi a posto la coscienza. In secondo luogo bisogna far notare agli osservatori – una volta per tutte – che è evidente che la Chiesa Cattolica non è una potente lobby che influenza la vita degli Stati.



A questo ormai possono credere solo Repubblica, Micromega e il Fatto Quotidiano. La Chiesa, infatti, nella politica estera conta poco o niente. Serve a prendere qualche (esiguo) voto con la politica interna e ad essere tirata in ballo da partiti sfibrati in cerca di un’identità che renda più nobile il loro tentativo di accesso al potere. Ma non é in grado di smuovere nulla, tanto più le decisioni “di quelli che contano”. In terzo luogo non possiamo non constatare che, anche se l’Occidente provasse a fare qualcosa di sostanziale o la Chiesa lo portasse a “muoversi”, il tutto si svolgerebbe sotto l’egida dell’impotenza. La situazione irachena, come quella di tutto il mondo arabo, è infatti frutto delle scelte dell’Occidente, di una guerra stupida come quella di Bush, di un’ancora più stupida iniziativa in Libia promossa da Sua Maestà Sarkozy, e di una serie di contraddittori interventi di Obama in Egitto che hanno provocato – per mille convenienze – gli applausi ingenui (o astuti) dell’intellighenzia europea verso la primavera araba.



Un Occidente con tali zavorre, quindi, non è più ad oggi interlocutore credibile per nessuno degli attori in campo ed è pure ricattato economicamente dalla potenza politica dei terroristi e dei loro appoggi istituzionali. Come se non bastasse, inoltre, mi sembra chiaro che la favola di un Islam moderno e democratico esista solo nelle menti sopraffine degli europei. I pochi democratici islamici in effetti, per i signori dell’ISIS, di Alqeda o di Hamas, non sono altro che infedeli o apostati e lo stesso Islam – privo di una guida universalmente riconosciuta – ci chiede di essere trattato, da parte nostra, con un atteggiamento più maturo, considerandolo seriamente nella sua pluralità di espressioni e di posizioni religiose (e politiche). Infine un’ultima piccola cosa va detta: papa Francesco, in queste settimane, è stato letteralmente preso a schiaffi da Israele e Palestina. Due mesi fa, se ci pensate, si piantavano ulivi in Vaticano e ci si prometteva pace, oggi si stenta a mala pena a rispettare tregue che arginino – anche solo momentaneamente – la carneficina degli ultimi giorni. L’atteggiamento tenuto dalle diplomazie di entrambi i popoli nei confronti del Pontefice è sembrato semplicemente beffardo e ci ha restituito l’esatto peso politico della Chiesa nelle grandi questioni internazionali, vanificando la “grandeur” vaticana del papato di Bergoglio promossa dai giornali europei, ma mai sostenuta dalle parole e dai gesti del Pontefice.

Anche di questo – chi un giorno racconterà la storia del massacro dei cristiani di inizio XXI secolo – dovrà tenere conto. Il tutto, poi, sta succedendo mentre, sempre con il solito sorriso di rito, l’Europa implode per l’egoismo degli Stati membri nella spartizione dei posti che contano all’interno delle sue fallimentari istituzioni comunitarie ed esplode per le rivalità sempre latenti ma rese palesi, in questo frangente, da una situazione economica spaventosa che solo la tensione in Ucraina, unita ai dati macroeconomici tedeschi, ci fa intuire in modo realistico. Per questo, dopo aver provato a sdoganare qualche considerazione scomoda, credo che il Papa abbia proprio ragione e che sia sul serio venuto il momento di pregare. Solo di pregare. Sia per i nostri fratelli in Iraq – perché Dio il miracolo lo può davvero fare – sia per la nostra situazione Occidentale che – credetemi – molto assomiglia a quella dell’Europa nella primavera del 1914. Prima del grande conflitto, prima della Grande Guerra.