I guerriglieri del califfato hanno varcato il confine tra Siria e Libano per scrivere sulle mura di una chiesa: “Lo Stato islamico spezzerà la vostra croce”. E’ solo un caso di numerose minacce che hanno preso di mira le chiese di Minieh e Mina, due villaggi alla periferia di Tarablus, nota anche come Tripoli, la città da 500mila abitanti nel Nord del Libano. Dopo che due soldati libanesi sono stati uccisi e 11 rapiti dallo Stato islamico, i cristiani del Paese dei Cedri vivono ore di terrore. Secondo l’Associated Press, numerosi cristiani dei villaggi di confine si sarebbero armati di fucili automatici e sarebbero saliti sulle colline per difendere le loro donne e i loro bambini. “E’ evidente a tutti che l’obiettivo del califfato è quello di compiere dei massacri nei villaggi libanesi più isolati e difficili da difendere – spiega a ilsussidiario.net Fadia Kiwan, docente di Politologia nell’Università cattolica Saint Joseph di Beirut -. E il dramma è che in questo momento il nostro esercito ha le mani legate, perché se spara i terroristi decapiteranno gli ostaggi”.
Professoressa, è vero che i cristiani libanesi hanno deciso di imbracciare le armi?
No, sono soltanto indiscrezioni senza fondamento. La gente è impaurita ma continua a guardare all’esercito libanese come all’unica forza legittima in grado di proteggerli. In questo momento ci troviamo in una situazione critica, già due soldati sono stati uccisi.
Come stanno vivendo questo momento drammatico i cristiani libanesi?
I cristiani libanesi non sono più spaventati di sciiti e drusi. C’è un senso di sconforto da parte dell’intera società libanese, in quanto è l’intero Paese a essere in pericolo.
Che cosa sta avvenendo al confine con la Siria?
I terroristi hanno oltrepassato più volte il confine libanese, sia pure di pochi chilometri. La loro strategia non consiste nell’invadere le grandi città, ma è ovvio a tutti che le loro intenzioni sono di compiere massacri in villaggi isolati abitati da cristiani e sciiti per seminare il terrore. L’obiettivo dei terroristi è quello di impressionare, e stanno utilizzando i social media per seminare il panico tra la gente.
Quali possono essere le conseguenze per la politica libanese?
C’è molta pressione sul governo affinché rifornisca l’esercito di munizioni e armi e gli conceda maggiore potere e un margine di iniziativa per affrontare i problemi. Dopo però che lo Stato islamico ha preso in ostaggio 11 soldati libanesi, l’esercito non si sente a suo agio nel compiere operazioni contro i terroristi, perché teme che uccideranno i prigionieri. Occorre quindi come prima cosa pagare per la liberazione degli ostaggi.
Se il governo libanese pagherà per la loro liberazione, ciò non rafforzerà ancora di più l’Isis?
Non è il governo libanese, ma Qatar e Turchia che devono pagare. Inoltre numerosi Paesi stanno comprando il petrolio dal califfato, e quindi qualche milione di dollari in più non farà la differenza. La prima cosa da fare è liberare i nostri ostaggi, e quindi assicurarci che i tribunali libanesi diventino la sede in cui sono tutelati i diritti umani.
In che senso?
In questo momento in Libano le persone sono incarcerate senza una sentenza, a prescindere dal fatto che siano realmente colpevoli o meno, sulla base di una semplice accusa di terrorismo. Dal punto di vista dei diritti umani è una situazione molto critica, tanto per il governo quanto per la magistratura.
E’ davvero possibile trattare con l’Isis?
Abbiamo un margine per negoziare senza dovere a nostra volta liberare dei terroristi. Ma c’è una terza cosa da fare urgentemente… fermare i cittadini libanesi che sostengono l’Isis. In tutti i villaggi del Paese ci sono persone che lavorano in modo sotterraneo per aiutare lo Stato islamico. Dobbiamo aprire un dibattito sui danni dell’estremismo e dell’uso della violenza.
Secondo lei da dove nascono?
Le rispondo con un esempio. Il sostegno ai terroristi è particolarmente forte a Tarablus, una città dove la soglia di povertà è molto elevata, e nello stesso tempo da Tarablus provengono tre miliardari attivi nella politica libanese. Eppure non è stato fatto nulla per combattere la povertà nella città e nelle sue periferie. Vanno quindi sradicate le ragioni che nel lungo periodo portano le persone ad aderire al terrorismo.
(Pietro Vernizzi)