NEW YORK – Tredici anni. Una splendida giornata di fine estate, e poi quel pennacchio di fumo scuro contro il cielo blue, come una cicatrice a deturpare un bel volto. Dimenticare non si dimentica, ma la forza, la vivezza di quel che è accaduto si attenua nel tempo, la memoria perde energia. Come il primo amore che sembra non possa mai cedere il passo ad un altro, ed invece, un po’ alla volta, lo fa. Così anche ogni grande dolore. Nel tempo anche il grande dolore si riduce ad un devoto ricordo.



Arriva l’11 settembre di tredici anni dopo. A Ground Zero la Freedom Tower è quasi ultimata. Se n’è cresciuta in fretta, guardando dall’alto dei suoi 540 metri il milione di visitatori già transitato di lì. Diecimila persone al giorno. Di questo passo il luogo del grande dolore diventerà presto il più visitato di New York City. Più dell’Empire State Building e della Statua delle Libertà.



Ci sono stato tre volte al Memorial e immagino mi capiterà ancora. Tutti vogliono andarci. La curiosità, una caratteristica generalmente in ribasso negli esseri umani, si rinfocola sempre di fronte al dramma della morte altrui. Entri al Memorial e trovi persone di tutti i tipi. C’è chi ci va come quando si gironzola per Times Square, vociando, scattando foto, facendo casino. Ma c’è anche chi ci va come si va al cimitero a trovare i propri cari. Per costoro Ground Zero resterà per sempre un’enorme fossa comune, un’enorme tomba.

Cos’è questo anniversario? Cos’è Ground Zero oggi? Cos’è questo “Memorial” (luogo della Memoria) a tredici anni dall’attacco terroristico? Terra sacra, attrazione turistica, luogo storico o cos’altro? La realtà è sempre la stessa per tutti, ma il nostro sguardo ed il nostro cuore la trasformano.



La realtà è che qui si ergevano due torri colossali, 110 piani tirati su da 3.500 uomini, a sfiorare il cielo. Qui ogni giorno pulsava incessantemente la vita di una metropoli frenetica ed irrequieta. Un piccolo mondo dove 50mila lavoravano, oltre 150mila passavano quotidianamente, un mondo che nei suoi quarant’anni di vita ha visto gente nascere e morire, innamorarsi e lasciarsi, arricchirsi e fallire. Qui tredici anni fa il mondo è cambiato. Le torri non ci sono più.

Al loro posto due piscine, due fontane scavate nel terreno lungo il perimetro di dove erano le torri. Due piaghe profonde con quell’acqua che come la vita non smette mai di scorrere e quei tremila nomi incisi nella pietra. Tremila ferite.

Curioso. Nessuno se l’è sentita di ricostruire nel punto esatto in cui l’uomo aveva voluto sfidare l’infinito. Invece di ricostruire si è scavato, come si volesse andare alla radice della vita e della morte, alla radice del male di cui l’uomo è stato capace, alla ricerca di chissà che cosa.

Cosa abbiamo trovato scavando? Cosa abbiamo capito dopo tredici anni? Come abbiamo risposto al dolore, allo smarrimento, al bisogno di giustizia? Che frutto ha portato nel nostro cuore la storia di questi anni?

Se solo, guardando Ground Zero, ci sfiorasse il pensiero che tutti siamo cattivi, potremmo cominciare a capire il senso di quelle vite improvvisamente ed incomprensibilmente trascinate via dal Mistero, tredici anni fa.