Il governo libico ha noleggiato una nave greca ormeggiata nel porto di Tobruk designandola come nuova sede per il Parlamento. Un fatto che la dice lunga sulla situazione in cui versa la Libia, il cui governo ufficiale è fuggito dalla capitale per rifugiarsi nella cittadina al confine con l’Egitto. Le Brigate di Misurata, note anche come Alba Libica, hanno conquistato Tripoli e buona parte di Bengasi, la seconda città più grande del Paese. Abbiamo chiesto a Francesca Mannocchi, inviata del programma Piazzapulita di La7, di raccontarci com’è la situazione e chi sono gli schieramenti che si fronteggiano sul terreno.



Ci racconti che cosa ha visto nel suo viaggio in Libia…

La mia base durante la mia permanenza in Libia è stata Misurata, e per motivi di sicurezza non ho potuto spostarmi per più di 150 chilometri a Est e a Ovest. Sono arrivata a Garabulli, porto della Libia Occidentale da cui si imbarcano i migranti, i quali preferiscono invece evitare Zuara, un altro porto nell’Est dove ci sono scontri armati e il cui controllo è nelle mani di una tribù molto violenta.



Com’è in questo momento la situazione per quanto riguarda la sicurezza?

Ho vissuto per una settimana con le brigate di Misurata che controllano la parte occidentale della Libia. Da poco hanno nominato un secondo esecutivo rispetto a quello di Tobruk. La zona in cui sono stata è effettivamente controllata dalle milizie. Non ci sono né check-point armati né mortai in strada, quello di Alba Libica è un controllo morbido e anche gli scontri a Tripoli sono molto localizzati. Non si combatte nelle strade del centro, ma in alcune zone strategiche della città come l’aeroporto. Per il momento quindi non c’è una situazione di pericolo nelle strade, perché le Brigate di Misurata hanno vinto la partita contro le Brigate di Zintan per il controllo di Tripoli.



Quindi la Libia non è nel caos come appare dai media?

C’è caos, ma è piuttosto di natura politica in quanto ci sono diverse forme di potere in tutta la Libia. A ciò si aggiunge il caos militare in alcune zone specifiche. I combattimenti sono molto intensi a Bengasi e in alcune aree circoscritte di Tripoli.

Chi sono gli schieramenti che si fronteggiano sul terreno?

La tribù di Zintan, che adesso supporta Khalifa Haftar, ma che fino a due anni fa era schierata a fianco delle brigate di Misurata, è costituita soprattutto da predoni. Le Brigate di Misurata invece, prima ancora di essere islamiche, sono mercantili: non combattono per Allah ma per i soldi.

 

Qual è il rapporto di Alba Libica con gli esponenti del vecchio regime?

I membri di Alba Libica sono gli anti-gheddafiani. I nostalgici di Gheddafi si sono raccolti intorno a Khalifa Haftar, il generale supportato dall’Egitto che ha formato un’armata per combattere il cartello di Alba Libica. Quest’ultima è sostenuta dal tessuto mercantile di Misurata come imprenditori, camionisti e lavoratori del porto. Di fatto in Libia è in atto una guerra civile, e i misuratini la vivono come la continuazione ideale della rivoluzione del 17 febbraio 2011. Ritengono che il Paese non si sia ancora liberato dalle frattaglie di Gheddafi, non riconoscono il governo di Tobruk e quindi continuano a combattere.

 

Come giocano le influenze straniere nella guerra civile in corso in Libia?

Sono girate molte voci e notizie false, come quella sulla sparizione di dieci aerei dall’aeroporto di Tripoli che non corrisponde a verità. In realtà il generale Khalifa Haftar è sostenuto dall’Egitto che è nelle mani di un altro militare, El-Sisi. I cittadini libici sono spaventati, perché lo vedono come un orizzonte in cui i generali tornano al potere. E’ una sorta di restaurazione che interrompe il processo di liberazione contro Gheddafi che loro ritengono di avere messo in atto. In Libia si gioca anche una partita più ampia, che riguarda il ruolo dell’Egitto, quello del Qatar che supporta le Brigate di Misurata e gli Emirati che sostengono invece il governo di Tobruk.

 

(Pietro Vernizzi)