E così mentre il Senato approva la manovra unilaterale del Governo argentino che “sposta” i pagamenti per i “tango bond” da New York a Buenos Aires (ma gli stessi detentori di bond argentini sono contro la decisione) e l’esecutivo continua con la sua favola di un Paese meraviglioso, vediamo di capire di più questa nazione a noi tanto vicina per mille motivi ma della quale sappiamo veramente poco. Iniziamo dalla sua situazione economica e quali prospettive future ci siano. Lo facciamo con l’economista più accreditato al momento, Carlos Melconian, che, a parte un curriculum di tutto rispetto (essendo consulente della Banca Mondiale, di vari Presidenti e Governi argentini e della Banca centrale del Paese), ha una particolarità molto rara: quella di parlare un linguaggio semplice e chiaro, scevro dai tecnicismi di tanti suoi colleghi. È per questo che partecipa incessantemente a programmi sia televisivi che radiofonici ed è apprezzatissimo dalla gente. Attualmente è consulente del candidato alla presidenza Maurizio Macri, un industriale argentino fondatore del partito Pro e attuale sindaco di Buenos Aires. Abbiamo incontrato Melconian negli uffici dell’impresa di consulenze da lui creata nel 1991, M&S Consultores.
La prima domanda che vorrei porle è quella che in Italia si fanno tutti: in cosa differisce questo default da quello del 2001?
Le anticipo già che quelle che le darò sono delle risposte molto pratiche. Il contratto vigente afferma che un detentore di un bond non è stato rimborsato dell’investimento in questi dieci anni, quindi l’Argentina sarebbe in default. Si può dire tutto quello che si vuole: che si sono fatti dei depositi, che siamo in un default tecnico transitorio, che c’è un giudice a New York che non permette i pagamenti, che siamo in un selective default ecc. Tuttavia, tutto ciò è irrilevante.
In che senso?
In pratica c’è gente che è in possesso di bond argentini e non gli è arrivato il denaro. Però le situazioni non sono tutte uguali. Ci sono persone in Argentina che i soldi li hanno ricevuti, però a tutt’oggi il Paese è nel mezzo di un processo dove sono presenti anche tantissimi vecchi creditori che già hanno vinto le cause. C’è però una distonia nell’impianto legislativo che dice come i crediti esigibili nelle giurisdizioni di Londra e New York possono essere soggetti a sequestro. Venendo alle differenze col passato, quello del 2001 è stato un default generale del debito argentino deciso dalle autorità nel corso di una settimana tragica che, come ricorderete, vide l’avvicendamento di 5 presidenti. In quel caso si decise politicamente di non pagare e la scelta fu avallata dal voto del Congresso. Quindi fu un default generalizzato, mentre quello attuale riguarda solo un segmento di creditori.
Cosa dovrebbe fare o cosa avrebbe dovuto fare il Governo?
In una posizione estrema il Governo afferma che vuole pagare il debito, ma che non gli viene permesso di farlo. In termini pratici non cambia il fatto che siamo in un default parziale. Usando termini calcistici, si può anche dire di aver giocato benissimo una partita, ma se non si è messa la palla in rete non si può certo cantar vittoria. Ecco, il gol sarebbe stato quello di andare a Wall Street e vendere bond, ma ciò non è stato possibile perché nel collocarli si sarebbero persi a seguito di un sequestro. In tutti questi anni gli unici soldi che l’Argentina ha ricevuto li ha ottenuti da Hugo Chávez, quindi al di fuori del mercato internazionale.
Mi risulta che il prestito non sia mai stato onorato dall’Argentina e che a causa di ciò l’interesse sia salito dal 2% al 17% circa…
Il prestito è stato fatto alla luce del sole, non certo sottobanco. Non so però a quanto ammonti l’attuale interesse. Tuttavia è certamente a due cifre.
Camminando per le strade di Buenos Aires è difficile non notare la quantità di manifesti che inneggiano allo slogan “Patria o Avvoltoi” fatti affiggere dal Governo…
Moltissime cose raccontate da questo Governo sono pura fiction. Il livore che mostra con i media non è dato altro che dalla sua incapacità di comprarseli tutti. E bisogna anche dire che nessun altro Governo ha speso energie e capitali tanto colossali per monopolizzare i media. In ogni caso, il risultato è che molti settori della società argentina sono riusciti a credere a molte favole, come quella per cui i primi anni della decade kirchnerista sono stati floridi. Una credenza smentita se non altro dal fatto che se così fosse realmente stato l’Argentina non sarebbe ricaduta in crisi e si sarebbe sviluppata allo stesso modo di altre nazioni latinoamericane. Le cose stanno però cambiando e lo dimostra il risultato delle elezioni del 2013 (per Camera e Senato, ndr) dove il Governo ha perso con il 70% dei voti all’opposizione. Così come nel 1997 con Menem, questa è la dimostrazione che la società argentina, così come commette errori di valutazione nel concedere tutto il potere ad un Governo, poi glielo toglie. Ritengo in ogni caso che a partire dal 2016, e sempre con l’incognita di chi vincerà le elezioni del 2015, questo Paese si normalizzerà in positivo.
Il Paese si normalizzerà…ma chi al momento può prendersi la responsabilità del cambiamento?
Ci sono da considerare due fattori. Il primo è che il cambiamento è sempre un desiderio della società: quando nel 1989 Menem assunse la presidenza, la società voleva un cambio drastico. Per esempio, mio padre all’epoca aveva fatto domanda per avere una linea telefonica alla società Entel, che era quella dello Stato, e doveva aspettare 14 anni per poter avere il telefono. Con le privatizzazioni decise da Menem, in sole 24 ore ebbe la linea. Quindi la gente vedeva che i servizi funzionavano come in un Paese moderno e in breve tempo fu tutta menemista. Poi però, come sempre accade, i poteri in Argentina vogliono durare 20 anni e così dilapidano il capitale positivo iniziale.
E ora?
Adesso siamo punto accapo, in quanto, nella crisi che stiamo vivendo, la società richiede un cambio radicale. La favola kirchnerista fa sì che alcuni vogliano un cambio parziale, mantenendo per esempio l’assegno statale che viene elargito alle classi meno abbienti per ogni figlio. È chiaro che questa misura è positiva, ma guardando i 12 anni del potere di questo Governo è l’unica cosa da salvare nel mare di fallimenti che lo hanno circondato. Poi però c’è da considerare che chiunque assumerà la presidenza dovrà far partire un paio di politiche che, come succede da anni in Cile, Brasile e Uruguay, dovranno essere mantenute e sviluppate a prescindere dal “colore politico” del Governo.
Negli ultimi 20 anni mi sembra che vi sia la costante del fallimento totale del peronismo che, prima attraverso il menemismo, poi con il kirchnerismo, ha portato il Paese nel baratro…
Lei sarebbe un perfetto candidato per Maurizio Macri. Dimentica due governi importanti, come quello di Alfonsin agli albori dell’attuale democrazia, e quello dell’Alianza (gruppo misto radical-peronista che assunse il potere nel 1999, ndr) che sono anch’essi falliti. Quindi, quello che Macri sostiene è che i Governi abbiano fallito da trent’anni, aggiungendo però, come dice lei, che il peronismo, pur cambiando l’abito, ha fatto lo stesso. C’è da dire che il movimento peronista è bravissimo a intuire le esigenze immediate della società e soddisfarle, come le dicevo prima facendo l’esempio del menemismo. Menem non è mai stato né conservatore, né liberista, ma capì che la gente voleva le privatizzazioni, così come, dopo il disastro del 2001, Kirchner intuì che doveva seguire le orme dei populismi di Chávez in Venezuela ed Evo Morales in Bolivia, visto il rifiuto della società per il neoliberalismo menemista. Poi però non sanno capitalizzare i risultati, perché vogliono governare 20 anni…
Corriamo il rischio di vedere andare avanti questo peronismo “mascherato”?
Macri sostiene che ci troviamo di fronte a un altro cambio peronista, auspicato dai due candidati del movimento (Scioli e Massa, ndr) che però hanno fatto parte sia dell’attuale Governo che del precedente. Queste sue osservazioni lo hanno catapultato in testa ai sondaggi. Bisogna vedere se la gran parte degli argentini che, pur non riconoscendosi nel peronismo, lo hanno votato per operare il cambiamento, lo sosterrà.
Il Governo Alfonsin, il primo della giovane democrazia argentina, aveva creato grandi aspettative: poi però venne fatto fallire dai continui scioperi generali dei sindacati peronisti…
Effettivamente quello di Alfonsin è il Governo che aveva generato più speranze, poi però cadde o venne fatto cadere…ma anche i Governi peronisti sono falliti. La domanda che sorge spontanea è: come mai in Uruguay, Cile e Brasile questo non succede? Perché lì non c’è il peronismo? Ma poi cadono anche i loro Governi. Allora le porto un esempio: in Cile i fondi pensionistici sono privati da 50 anni e vengono attualizzati, modificati a seconda delle situazioni economiche ma permangono. In Argentina, a partire dagli anni ‘40, il Fondo pensioni era statale, poi è arrivato Menem e lo ha privatizzato, poi è arrivato Kirchner e invece di modificare o attualizzare la situazione discutendo per esempio delle percentuali esose di questi fondi tentando di abbassarle o di correggerne gli errori, si è preso i soldi e ha rinazionalizzato tutto… Stesso discorso per l’indipendenza delle banche centrali.
Ci spieghi meglio.
Viaggio spesso sia in Brasile che in Uruguay, paesi dove ci sono banche centrali che sono storicamente indipendenti dalle politiche governative. Sanno che possono parlare con i Governi, ma conservano un’indipendenza operativa: possono manovrare su due fronti, quello della stabilità monetaria e quello dello sviluppo, ma lo fanno a loro discrezione. In Argentina invece la dipendenza totale dal Governo fa sì che, per esempio, in una crisi come l’attuale si imponga alla banca centrale di stampare moneta oltre ogni limite per creare impiego in breve tempo, ma trascinando alla fine nella crisi settori portanti dell’economia come quello agricolo e del bestiame e anche i fondi pensionistici. E allora a quanti si chiedono se ci sia un nemico esterno che faccia fallire ogni politica, va detta la verità: non esiste alcun nemico esterno.
Qual è allora la causa della situazione che vive il Paese?
È da cercare nella voglia di un potere di perpetrarsi in eterno. È una questione di progresso educativo di una nazione che mette la legge sopra il potere politico e impone l’alternanza. Qui, se ci pensa, tra il menemismo e il kirchnerismo sono 22 anni di governo peronista, un terzo o un quarto della vita di una persona e questa è una cosa che non può continuare. Hanno basato le loro politiche sui risultati immediati, invece che sui piani quinquennali.
Perché però un Paese con così tanta terra fertile e risorse energetiche immense, con cultura, genialità, e quindi dotato di risorse umane, non decolla mai?
Aggiungerei che girando il mondo si trovano manager argentini dappertutto; insomma, il mondo ci vuol bene, al di là del fatto che Messi e il Papa siano argentini. Credo che noi dobbiamo imparare sopratutto ad andare avanti collettivamente, prima che sia troppo tardi. Questo Paese storicamente ha avuto livelli di educazione elevati, però tanta positività, se non viene mantenuta a livelli alti attraverso interventi appropriati, rischia di cadere fino ad avere una perdita di competitività, mentre gli altri paesi latinoamericani avanzano.
E allora come mai le sue previsioni per il 2016 sono positive?
Perché la gente ha capito che questa decade è stata un disastro e vuole cambiare. Se il mercato ci aiuta mantenendo il cambio col dollaro, il prezzo delle commodities e i tassi di interesse favorevoli, l’Argentina rapidamente sarà in grado di recuperare quanto ha perso in questi anni e riuscirà a mettersi sul cammino dello sviluppo che già stanno seguendo altri paesi latinoamericani. Comincerà a funzionare il mercato interno e gli stessi argentini investiranno nel loro Paese le risorse che attualmente hanno all’estero. A quel punto il problema sarà quello di amministrare le risorse finanziarie che arriveranno. Guardi un po’ che ottimismo che ho!
Papa Francesco è argentino e sappiamo tutti come Giovanni Paolo II abbia inciso in modo determinante sulle sorti della sua Polonia. Che influenza potrà avere secondo Lei monsignor Bergoglio sul futuro del Paese, specie nel 2015?
Ricordiamoci che abbiamo l’onore del fatto che il primo Papa latinoamericano della storia è argentino. Quindi ogni segnale che lui lancia è importante. Pensiamo anche all’austerità che ha conservato, perché nato in un quartiere povero. E nonostante questo è poi riuscito a progredire occupando posti di rilievo… Persone come Bergoglio ci servono in primo luogo a ricordarci questo. Papa Francesco ha, come Giovanni Paolo II, un’influenza mondiale e partecipa attivamente per cercare di risolvere i problemi di questo mondo. Per cui per gli argentini la sua figura rappresenta anche un simbolo di unione. Chi interpreta le sue parole e i suoi gesti a favore di questo o quel politico o schieramento sbaglia di grosso. Francesco per gli argentini è innanzitutto la dimostrazione che per uno di noi tutto è possibile, però allo stesso tempo quell’argentino è arrivato lì e mostra continuamente l’idea di servizio, di dover lavorare per il prossimo: un vero esempio per tutti noi.
(Arturo Illia)