È molto facile indicare chi ha torto e chi ha ragione in Ucraina. Dal punto di vista giuridico, infatti, non vi sono dubbi che il governo centrale ucraino ha ragione e che la Russia ha torto marcio.
La crisi infatti è nata all’interno dell’Ucraina, da una sollevazione popolare contro il Presidente – peraltro, a quanto sembra, legittimamente eletto – il quale aveva rifiutato la prospettiva di un accordo di associazione con l’Unione europea e abbracciato la prospettiva dell’alleanza euroasiatica suggerita dalla Russia. Una crisi interna, quindi, alla quale però la Russia ha reagito molto duramente, provocando una sollevazione della minoranza russa in Ucraina – pur se maggioranza nelle regioni dell’est – che ha portato dapprima all’annessione della Crimea e ora alla guerra civile nelle altre regioni orientali.
D’altronde, la Russia ha mostrato anche in altre situazioni una chiara propensione ad utilizzare in maniera spregiudicata le minoranze russe al fine di evitare la deriva filoccidentale di Stati che facevano parte dell’impero sovietico.
È però difficile assolvere del tutto gli Stati occidentali.
La politica occidentale nell’Europa orientale, come anche in altre parti del mondo, non ha tenuto molto conto dell’esigenza di assicurare l’intangibilità dei confini degli Stati vicini, magari artificialmente costruiti nel periodo sovietico. Al contrario, essa ha utilizzato, talvolta in maniera spregiudicata, i conflitti etnici o nazionali per estendere la propria area di influenza ad est, pur a costo di creare incertezza giuridica e instabilità politica. Non è molto coerente sostenere il diritto all’integrità territoriale dell’Ucraina, pur se una intera parte del suo territorio, ad est del Dniepr, è abitata da popolazioni di lingua e cultura russa, quando in altre situazioni si è sostenuta la posizione contraria. È da chiedersi, inoltre, quanto sia stato saggio procedere alla firma del trattato di associazione con l’Ucraina nel giugno scorso, nell’illusione che la presa della Crimea avrebbe sopito le mire russe sulle altre regioni orientali dell’Ucraina.
È difficile, oggi, per l’Unione europea trovare una soluzione al puzzle ucraino.
L’opzione militare rimane impraticabile. Un intervento diretto a sostegno dell’esercito ucraino potrebbe dar vita ad una escalation incontrollabile militarmente e devastante politicamente. Interventi indiretti, verosimilmente già in atto, difficilmente potranno ribaltare la situazione attuale che vede l’esercito ucraino in serie difficoltà nel difendere zone del Paese dove l’intervento russo sembra godere del favore popolare.
Anche l’inasprimento delle sanzioni, ieri annunciato dall’Unione europea, pur se inevitabile, difficilmente darà frutti nel breve periodo e verosimilmente causerà, come in altre occasioni, un rafforzamento dell’attuale leadership russa. Il coinvolgimento diretto nel conflitto della Russia, membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, esclude automaticamente qualsiasi opzione di carattere multilaterale.
Non resta, quindi, che lasciare aperte e irrobustire le opzioni negoziali. In esse, l’Unione europea può utilizzare le proprie formidabili risorse economiche al fine di realizzare soluzioni concordate da tutte le parti, che diluiscano il conflitto etnico in Ucraina in un quadro istituzionale caratterizzato da ampie garanzie di autogoverno per le regioni orientali.
Insomma, la creazione di uno Stato cuscinetto in Ucraina, che sembra l’obiettivo russo, appare altrettanto inverosimile quanto il puro e semplice ripristino della sovranità ucraina sulle regioni orientali. Nella prospettiva del confronto etnico, queste ultime si attestano, oggi, intransigentemente su una prospettiva separatista, o addirittura di adesione alla federazione russa. Esse stesse potrebbero, domani, considerare i vantaggi derivanti dal riconoscimento di uno status di autonomia politica e culturale nell’ambito di uno Stato ucraino, godendo quindi, ad un tempo, dei benefici dello status di associati all’Unione.
L’Ucraina rappresenta la sfida forse più impegnativa per l’Unione − e per la sua politica estera − dopo la lunga e atroce crisi che accompagno il tramonto della Iugoslavia. Una sfida nella quale l’Europa non può che fare da sola, evitando di commettere gli errori del passato. Una sfida nella quale farebbe bene a presentarsi con una visione lungimirante del suo ruolo in un cortile di casa assai turbolento.