La Nato, nel corso del suo summit in Galles, ha reso noto di “stare con l’Ucraina” nei confronti della “destabilizzante” influenza della Russia. La Nato ha inoltre invitato la Russia a “ritirare le sue truppe” dall’Ucraina e a mettere fine all’annessione “illegale” della Crimea. Funzionari del Regno Unito hanno fatto sapere che oggi saranno annunciate nuove sanzioni di Ue e Usa contro la Russia. Nel frattempo il presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko, e i leader ribelli hanno annunciato un cessate il fuoco sempre per la giornata di oggi. Ne abbiamo parlato con Carlo Curti Gialdino, professore di Diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma.



Professore, secondo lei che cosa deciderà la Nato per quanto riguarda l’Ucraina?

Da un lato Obama ha dichiarato che non accetterà mai un’occupazione russa, dall’altra però nel rispetto delle regole minime di convivenza internazionale è inammissibile un intervento armato. Questo a prescindere dal fatto che si tratti di un intervento diretto, indiretto, attraverso personale con delle divise ma senza identificazione. La popolazione dell’Est dell’Ucraina è russofona e se si dovesse esprimere con un referendum sceglierebbe di andare con Mosca.



Lei è favorevole a un referendum?

Tra tenere un referendum e consentire accaparramenti di territori attraverso l’uso della forza, è meglio il referendum che almeno indica una volontà della popolazione.

E’ possibile un piano di pace per l’Ucraina?

Si è parlato di un piano di pace concordato dal presidente dell’Ucraina direttamente con Putin, e la precondizione perché un piano di pace possa essere firmato è che si stabilisca prima un cessate il fuoco. Oggi è previsto un incontro a Minsk tra Russia, Ucraina e i separatisti filo-russi sotto l’egida dell’Osce. Può essere l’occasione per siglare un cessate il fuoco e poi una sorta di accordo che preveda probabilmente elementi di autonomia dal governo di Kiev per le regioni orientali.



Che cosa farà invece la Nato in Medio Oriente?

In Medio Oriente ci sarà un’ulteriore escalation dell’uso della forza. Non credo che si fermeranno al bombardamento dei terroristi con droni e alla fornitura di armi, ma che ci sarà un impegno militare più stringente perché altrimenti si perderà il controllo del territorio.

Sotto quale egida si potrà intervenire? 

L’uso della forza è ammissibile solo se è consentito dall’Onu. In una zona dove ci sono interessi degli Stati del Consiglio di sicurezza ciò è molto più difficile, ma in Iraq la situazione potrebbe giustificare un intervento. Non mi riferisco a un intervento della Nato in quanto tale, ma al fatto che l’Onu dà l’autorizzazione all’uso della forza che è poi canalizzato sotto l’egida della Nato o di una coalizione. Nel primo caso anche l’Italia dovrà fornire il suo contributo, nel secondo potrà graduare la sua partecipazione, ma sempre a condizione che ci sia un’autorizzazione da parte del Consiglio di sicurezza. Dobbiamo evitare di ripetere gli errori commessi nell’ex Jugoslavia nel 1999, quando si mosse la Nato senza il beneplacito dell’Onu.

 

Rasmussen ha affermato che se l’Iraq chiedesse aiuto la Nato sarebbe pronta a intervenire. Lei che cosa ne pensa?

Perché ciò avvenga è necessario che la Nato sia titolata a farlo dal punto di vista giuridico. La Nato ha cambiato pelle, non è più l’alleanza difensiva concepita originariamente, ma non ha il titolo per intervenire come “gendarme”.

 

Dal’Ucraina al Medio Oriente, il mondo è in fiamme. Rischiamo una guerra mondiale?

Se guardiamo il mappamondo, la situazione è incandescente e una scintilla potrebbe fare scoppiare tutto. In fondo la seconda guerra mondiale è cominciata nel 1939, esattamente dieci anni dopo la crisi economica del 1929. Mi auguro che si tratti di pure coincidenze, ma dopo la crisi del 2008 i conflitti in tutto il mondo stanno aumentando pericolosamente. Quando a causa di una crisi economica si verifica un impoverimento delle popolazioni, poi le situazioni di tensione si acuiscono.

 

(Pietro Vernizzi)