Mentre si teneva l’atteso vertice Nato in Galles, in contemporanea Kiev e ribelli filo russi firmavano l’atteso accordo, seppur preliminare, del cessate il fuoco. Per Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi Internazionali, nonché Consigliere Strategico del Ministro della Difesa, contattato da il sussidiario.net, questa apparente coincidenza svela invece “l’abilità politica di Putin nell’avere uno straordinario senso del tempo e delle proporzioni. Non conviene a nessuno infatti rompere con la Russia, che è un pilastro fondamentale della stabilità euro asiatica quando ci sono tutte le possibilità di dialogo”. L’altro punto scaturito dal vertice è invece la coalizione contro i fondamentalisti islamici di Isis a cui prenderà parte anche l’Italia: “Spetterà al capo del Governo in accordo con gli alleati stabilire se il nostro Paese vi prenderà parte con forze militari. Una cosa è sicura: l’Italia partecipa da decenni a queste operazioni e deve essere dotata di forze appropriate, ecco che si riapre il capitolo F35”.
Il vertice Nato ha deciso il dislocamento di un contingente ad azione rapida nei Paesi Baltici e in Polonia, pensa sia una misura sufficiente per contenere Putin?
Mi pare che il vertice Nato abbia fatto capire che si vada verso una strategia di dialogo in maniera molto chiara, forti dell’accordo di pace tra Ucraina e ribelli filo russi che non poteva passare inosservato. Lo stesso premier inglese Cameron ha parlato di eventuale rivalutazione delle sanzioni.
Pensa che comunque questa forza militare sia una misura appropriata per lo scenario che si è aperto negli ultimi mesi nell’Europa dell’est?
Diciamo che con questo dispiegamento si fa una sorta di “peacement”, un segnale di pace cioè, nei confronti dei Paesi Baltici e della Polonia che sono storicamente preoccupati, qualunque regime ci sia a Mosca, della Russia. Lo si fa con la costituzione di un comando militare che di fatto, è bene ricordare, è più un comando che va a integrare dei comandi Nato di azione rapida già esistenti, tra cui anche uno italiano, in virtù di numeri che le nazioni partecipanti potranno dare. Essendo comunque numeri ridotti rispetto alle forze Nato già in campo, si potranno avere tempi di movimento sul terreno più veloci.
In che senso?
E’ un dato di fatto che si fa prima a spostare cento persone che spostarne mille o diecimila. E’ in definitiva una operazione politica di segno di attenzione a questi paesi, perché la Nato ha già tutti gli strumenti per poter affrontare una serie di minacce in quella zona.
La firma in contemporanea dell’accordo di pace tra Ucraina e ribelli filo russi pensa che sia nata dal timore per quanto il vertice Nato poteva decidere? Un cedimento in qualche modo di Putin?
Assolutamente no. Putin è un abilissimo politico e lo ha dimostrato in tutte le occasioni possibili e immaginabili. Anche questa apertura in occasione del vertice Nato dimostra la sua capacità di avere il senso del tempo e delle proporzioni.
Il segretario Nato Rasmussen ha anche detto che nonostante la Russia abbia violato più articoli del Consiglio Nato-Russia, non c’è alcuna intenzione di cacciare dal Consiglio Mosca.
Ma certamente. Non conviene a nessuno arrivare a un accordo pessimo con la Russia che è un pilastro fondamentale della stabilità euro asiatica. Non vedo perché dover andare a uno scontro quando ci sono milioni di occasioni per una apertura e un dialogo politico.
Veniamo al fronte iracheno. John Kerry ha detto che è escluso in modo categorico l’invio di truppe di terra in Iraq. Lei pensa sia una cosa sensata?
Occorre prima di tutto rafforzare dal punto di vista militare il governo centrale di Baghdad e non solo esclusivamente le sue emanazioni regionali, perché altrimenti per salvare l’Iraq il rischio è che lo si vada a distruggere.
Cosa intende esattamente?
Che per salvare l’Iraq si creino presupposti per lo sfaldamento della realtà nazionale unitaria.
La coalizione che è stata inaugurata è davvero estesa, dal Canada alla Turchia…
E’ una sorta di nuova coalizione dei volonterosi.
A cui prende parte anche il nostro Paese. Che tipo di impegno pensa darà l’Italia?
L’Italia avrà un ruolo che verrà definito dal capo del governo in accordo con i ministeri appositi e gli alleati, ma anche in accordo con le risorse militari che l’Italia potrà fornire alla coalizione.
Ci sarà dunque la possibilità dell’impiego di aerei militari come durante la Guerra del Golfo?
Questa è una valutazione che farà il governo, se possibile, non è prevedibile, consultando anche il Parlamento. In questo momento parlare di truppe italiane mi sembra sinceramente prematuro. Se la domanda è invece se le nostre forze armate sono pronte, in particolare l’aeronautica, ad assumersi un ruolo preciso, le posso dire certamente sì. Se però un eventuale supporto aereo dovesse mai essere approvato, si apre un’ulteriore discussione sulla vicenda F35.
Perché? Ci spieghi.
La politica del premier Renzi, così come quella di tutti i premier dal 1990 a oggi, fa sì che l’Italia abbia partecipato a coalizioni internazionali Nato o Onu dando a disposizione lo strumento militare. Questo avviene da 30 anni in maniera continuativa perché il premier di qualunque colore politico, e intendo ancora prima del bipolarismo, riconosce il ruolo di responsabilità che ha l’Italia nel mondo.
Gli F35 in questo contesto cosa rappresentano?
L’Italia ha la ncecessità di uno strumento militare bilanciato e operativo, perché questo impegno è il trend del nostro paese.
Molti però fraintendono questo impegno per la pace con un impegno di guerra, criticando il nostro interventismo.
Una cosa sono i cittadini e le convenzioni, un’altra cosa sono le azioni di governo e con questo non voglio dire che i cittadini non contano ma sono responsabilità su piani diversi. Se il trend nazionale dato dal fatto che siamo una grande realtà politica europea è di partecipare a missioni di stabilità, che non sono missioni per ammazzare qualcuno anche se dall’altra parte abbiamo tagliagole barbari, e ciò vuol dire che non stiamo parlando di andare a rubare il petrolio a qualcuno, detto questo abbiamo bisogno di uno strumento valido. Se fra 25 anni ci fosse una situazione analoga da qualche altra parte del mondo e l’Italia dovesse partecipare attivamente, l’Italia dovrà avere si o no uno strumento in grado di operare?