La Francia non sarà più la stessa dopo queste giornate di sangue che l’hanno sconvolta al cuore, nella capitale Parigi. Lo dice chiaramente Richard Heuze, corrispondente italiano de Le Figaro parlando con il sussidiario.net: “Ci sono gravi responsabilità su come fino a oggi si è pensato alla sicurezza nazionale, quanto accaduto in questi giorni ce lo ha dimostrato. Adesso il popolo francese chiede che si intervenga e il governo non potrà ignorare la richiesta popolare”. E’ una Francia sotto shock, che dovrà affrontare da capo nodi pesantissimi che per un motivo o per l’altro hanno creato una bomba esplosiva: “Dalle periferie che oggi sono terra di nessuno e dove lo Stato non detta più legge, la Francia dovrà cambiare. Quello che abbiamo visto in questi gironi è un disegno preciso, quello di portare la jihad in Francia” dice Heuze.
Il bilancio dell’ultimo giorno di follia a Parigi è tragico, molti gli ostaggi che hanno perso la vita. Era inevitabile secondo lei una conclusione del genere?
Poteva essere evitata, ma è ovvio che il rischio che finisse così c’era. Queste persone erano terroristi determinati che non si sarebbero arresi, che avevano deciso di uccidersi per poter poi farsi vendicare e diventare dei martiri della loro cosiddetta fede. Sono dei criminali che non hanno niente a che vedere con l’islam moderato.
Dunque le forze di sicurezza hanno agito nell’unico modo possibile?
La decisione della polizia è stata presa con grande determinazione e professionalità, una azione veloce e brutale come si deve fare in questi casi. Hanno cambiato strategia rispetto al novembre 2012.
Ci ricordi cosa era successo allora.
Un terrorista era stato rintracciato a Tolosa in una casa dopo che aveva ucciso sette persone. Avevano negoziato con lui tutta la notte al telefono, ricordo che si era anche messo a piangere, però alla fine era uscito sparando ed è stato ucciso sul posto.
Questa volta niente negoziazioni?
Questa volta il rischio era che facessero saltare in aria tutto con gli ostaggi dentro e hanno deciso di far precipitare gli eventi. E’ ovvio che l’operazione è stata coordinata strettamente dal ministero degli Interni con l’Eliseo ed è l’Eliseo che ha dato l’ok agli attacchi.
Il fatto che i tre terroristi appartenessero alla stessa cellula dimostra una presenza del terrore in Francia decisamente di alto livello, siamo davanti a una escalation del terrore?
Sicuramente c’è la volontà di portare in Francia la jihad. La cosa incredibile della vicenda è che il fratello più giovane dei due Kouachi era stato in carcere nel 2009 e nel 2012 perché cercava di reclutare aspiranti jihadisti per l’Iraq e poi con il fratello sono andati tranquillamente nello Yemen ad addestrarsi.
Come si spiega questo secondo lei? Come hanno potuto andarsene e tornare tranquillamente?
Uscire dalla Francia non è poi tanto difficile. Sono andati nello Yemen, sono stati addestrati e sono tornati. Quello che sorprende è che erano sorvegliati perché si sapeva che erano pericolosissimi eppure hanno fatto quello che hanno fatto del tutto indisturbati, armandosi e colpendo.
Dove hanno trovato le armi?
Tramite la malavita francese; ci sono dei collegamenti stretti tra malavita e terroristi. Nessuno si aspettava che potessero andare a colpire la redazione di un giornale, è ovvio che ci sono stati errori nel sistema di sicurezza.
Dunque un sistema di sicurezza con profonde falle.
Dall’inizio dello scorso dicembre ci sono stati dei tentativi di attentati sventati dalla sicurezza, ma di fronte a Charlie Hebdo non c’era nessun dispositivo di sicurezza, solo due poliziotti che facevano da scorta al direttore.
Cosa cambierà adesso in Francia? Ci saranno leggi più severe, una sorta di repressione?
La repressione no, sul piano politico intanto domenica ci sarà una grande manifestazione a Parigi dove sono convocati tutti i francesi per esprimere le loro emozioni. Domenica sarà a Parigi anche Matteo Renzi e forse parteciperà alla manifestazione. Il primo ministro ha già detto che il sistema di sicurezza sarà rivisto e indurito, forse ci sarà un irrigidimento delle leggi come quelle italiane contro la mafia, ma soprattutto si dovranno rivedere situazioni come quelle delle periferie, che sono diventate una zona senza legge dove lo stato non può più entrare. Tutta la Francia chiede più sicurezza e il governo non potrà rimane indifferente.
Pensa che Marine Le Pen cavalcherà questa situazione, aumentando ancora i suoi consensi già alti?
Probabilmente cercherà di far valere le sue posizioni chiamando a più severità e forza, anche sull’immigrazione, e a più forze di polizia. Hanno tolto i militari dalle strade per risparmiare, questo è un errore. Sui consensi, si vedrà cosa succederà. In questo momento è importante tenere i nervi saldi nel rispetto dell’identità repubblicana.
La Francia è sotto shock, i parigini riusciranno a uscire da questo incubo?
E’ l’attacco terroristico peggiore degli ultimi 30, 40 anni. E’ ovvio che tutta la Francia è sotto shock, l’impunità di questi che potevano circolare e sparire fa paura. Gli esperti adesso diranno che dietro a ogni evento c’è una parte di imponderabilità, ma d’altro canto questi sono i rischi che si corrono nelle democrazie se non si vuole mettere un poliziotto dietro a ogni aspirante kamikaze.
Lei conosceva i giornalisti di Charlie Hebdo uccisi? Che ricordo ne ha?
Sì, li conoscevo, erano disegnatori bravissimi, il direttore diceva sempre: non si sgozza nessuno con una matita. Erano anche estremisti, dissacranti, ingiuriosi con tutte le religioni, anche quella cristiana, diverse volte hanno preso di mira il papa in modo anche pesante.
Qualcuno ha detto che questo modo di fare non poteva che portare a quello che poi è successo…
Ma in realtà non facevano parte di nessun partito, erano del tutto indipendenti e la libertà di stampa impone di vigilare perché anche persone così possano esprimersi. C’è una associazione che si chiama Cartoonist for peace diretta da Kofi Annan, da anni si batte per la libertà di stampa e in difesa dei caricaturisti minacciati nei paesi totalitari. Proprio un paio di mesi fa sono riusciti a far espatriare un disegnatore siriano a cui il regime ha spezzato entrambe le mani.
(Paolo Vites)