Carissimo direttore di Charlie Hebdo,

La nuova copertina della sua rivista secondo lei e la sua redazione non è una rinuncia al diritto di essere blasfemi, anzi è in continuità con questa vostra rivendicazione che sarebbe un fattore di democrazia, quella che voi chiamate la laicità della democrazia. Sarà come voi sostenete, invece è drammatica la nuova copertina che avete elaborato e diffuso, in quanto afferma ciò di cui ha bisogno l’uomo oggi, colpito da tanto male, ferito in modo profondo, fino a rendergli difficile il mantenere l’equilibrio, il continuare a camminare. Voi probabilmente non avete compreso fino in fondo quello che avete disegnato, non si può dire invano che tutto sia perdonato, non si può fare satire su quello che è il bisogno più vero dell’uomo, di incontrare uno sguardo di simpatia totale. Ma qui si pone la questione radicale di quello che sta succedendo oggi, in Francia, in Nigeria, in Irak, in tutti i paesi dove domina la violenza. Non basta una manifestazione di quattro milioni di persone, non basta dire Je suis Charlie, non bastano le misure di sicurezza, vi è bisogno come dice una canzone di Claudio Chieffo “di Qualcuno che ci liberi dal male perché il mondo tutto intero è rimasto tale e quale”. Che vi sia questo perdono, impossibile all’uomo, ma a Dio possibile, questo è fattore di democrazia; non la rivendicazione del diritto ad essere blasfemi, ma al diritto di guardare all’altro per il mistero che è, per la domanda di verità e di bontà che porta. Voi con la copertina sul perdono non avete portato di nuovo una blasfemia, ma avete detto senza rendervi conto (e questo è drammatico!) quello che è il bisogno che tutti portiamo dentro in questi giorni, che ci si guardi l’uno l’altro non con sospetto o paura, ma con uno sguardo pieno di perdono, così da ripartire costruendo. Questo caro direttore di Chiarlie Hebdo io oggi rivendico, non il diritto ad essere irriverente e blasfemo, ma il diritto ad essere totalmente uomo, domanda di uno sguardo a partire dal quale ricostruire una convivenza dove la libertà sia intesa per quello che è, rapporto con l’altro. La ringrazio per la sua provocazione odierna, perché ha portato alla luce il bisogno di tutti, il bisogno del perdono. Che il palestinese perdoni all’ebreo, che l’irakeno perdoni allo yazida, che il cristiano perdoni al musulmano, che il sunnita perdoni allo sciita, che il turco perdoni all’armeno, che il curdo perdoni al terrorista, che l’amore diventi gesto verso l’altro, gesto di abbraccio totale. Come disse Papa Francesco il 29 novembre 2013: “Non è possibile pensare a una fratellanza da laboratorio. Certo, è necessario che tutto avvenga nel rispetto delle convinzioni altrui, anche di chi non crede, ma dobbiamo avere il coraggio e la pazienza di venirci incontro l’un l’altro per quello che siamo. Il futuro sta nella convivenza rispettosa delle diversità, non nell’omologazione ad un pensiero unico teoricamente neutrale. Diventa perciò imprescindibile il riconoscimento del diritto fondamentale alla libertà religiosa, in tutte le sue dimensioni”. Questa è la sfida di oggi, un perdono reale!