In Argentina, nell’arco di pochi giorni, due notizie hanno fatto gelare il sangue. La prima mercoledì scorso: la Presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner, e il suo ministro degli Esteri, Hector Timerman, sono stati denunciati dal magistrato Alberto Nisman, che gestisce le indagini sull’attentato alla sede dell’Associazione ebraica Amia del 18 luglio del 1994, nel quale morirono 84 persone e 300 furono i feriti. L’accusa per i due era di aver deviato le indagini che avevano portato a imputare all’Iran di aver manovrato il gruppo terrorista Hezbollah responsabile della strage, sollevando il Governo di Ahmadineyad dalle proprie responsabilità con un accordo politico firmato nel 2013.
Anche uno dei capi del movimento politico ultrakirchnerista “La Campora”, Andres Larroque, e il deputato Luis D’Elia (anch’egli appartenente al partito kirchnerista) sono stati accusati, come gli altri, di “aver negoziato un accordo con il Paese arabo e di aver coperto i veri responsabili dell’esplosione che fece saltare per aria l’intero edificio”.
È la prima volta che un Presidente argentino riceve un’accusa di tale portata, ma giova ricordare che da anni il trattato che ha trasferito di fatto le indagini in Iran è stato smascherato nella sua essenza da un giornalista recentemente scomparso, Pepe Eliaschev, che pubblicò la sua inchiesta sul quotidiano Perfil.
In pratica, anziché punire i responsabili della strage, si è preferito scambiare l’impunità con un accordo economico che prevedeva la fornitura da parte dell’Iran di ingenti quantità di petrolio pagati con cereali. L’intesa poi non ebbe seguito a causa dell’impossibilità argentina di cancellare i mandati internazionali di cattura che coinvolgevano alte autorità iraniane emanati a suo tempo.
Seconda notizia: lunedì alle 15 Nisman doveva portare le prove delle sue accuse al Congreso de la Nacion Argentina, in pratica la Camera dei Deputati, ma non ci è mai arrivato perché alle 22:30 di domenica è stato trovato morto nel suo appartamento nel lussuoso quartiere di Puerto Madero. Suicidio, dicono gli inquirenti, ma la tesi che si sta affermando di ora in ora è quella del suicidio indotto: anche perché nella giornata di giovedì e fino alla sua scomparsa Nisman aveva concesso interviste che testimoniano la sua volontà ferrea di arrivare a portare a termine le sue conclusioni sulla strage del ’94. Altra cosa strana è che il suicida, nonostante la profonda relazione con le sue figlie, non abbia lasciato a loro nessuna lettera che spieghi il suo gesto, ma anche il fatto che, nonostante i 10 agenti di custodia che lo vigilavano, nessuno abbia udito lo sparo.
La sua morte sta provocando nell’intero Paese reazioni che hanno portato a manifestazioni spontanee con un’aggregazione di centinaia di migliaia di persone, convocate dalle reti sociali. Lo shock ha sconvolto l’intero mondo politico, ma mentre l’opposizione ha mostrato finalmente unità di intenti nel richiedere la verità su questa torbidissima faccenda, il partito kirchnerista Fpv, Frente para la victoria, così come la Presidente, in un curioso e patetico scritto su Facebook, si sono chiesti come mai Nisman abbia interrotto le sue vacanze, la settimana scorsa, per rientrare precipitosamente a Buenos Aires e presentare le sue denunce, fatto d’altronde già abbondantemente spiegato dalla deputata del Pro Laura Alonso, amica dello scomparso, che ha sostenuto come il magistrato abbia dovuto rientrare perché avvertito sulla possibilità di venir rimosso dall’indagine di un fatto a cui ha dedicato 10 anni di lavoro. È noto infatti che la procuratrice Gils Carbò, fedele kirchnerista, abbia da tempo promosso la destituzione sistematica di giudici e magistrati che hanno indagato su scandali che coinvolgono l’attuale Presidente (ma anche suo marito, lo scomparso Presidente Kirchner) o il suo entourage.
Ieri ci doveva essere la riunione politica nella quale Nisman doveva presentare e confutare le sue tesi, ma mentre lui la voleva a porte chiuse, il Partito kirchnerista la pretendeva pubblica: la differenza risiede nel fatto che nel secondo caso non potevano essere rivelati documenti e intercettazioni che costituiscono segreto di Stato, mentre nel primo sì. Con l’ovvia mancanza, nel caso di incontro pubblico, di tutta una serie di prove inconfutabili sulle responsabilità presidenziali che avrebbero fatto decadere immediatamente la questione.
“È come se il Governo degli Stati Uniti convocasse Bin Laden per chiedere spiegazioni sulla strage delle Torri Gemelle”, ha affermato la deputata Patrizia Bullrich del partito Pro, riferendosi al fatto che, nel patto raggiunto nel 2013, il Governo iraniano si sarebbe dovuto far carico di un’indagine sulla strage dell’Amia. “È l’ennesima dimostrazione di come questo esecutivo sia ormai un forte alleato non solo di governi dove operano frange terroristiche, ma anche di paesi dotati di regimi autoritari che con la democrazia hanno poco a che fare, come Russia e Cina”, sostiene la deputata Elisa Carriò del Fronte Unen.
Tutto questo prima della tragica domenica sulla quale, a meno di sorprendenti episodi, si continuerà a tacere: prova ne sia che, una volta a conoscenza della terribile denuncia di Nisman, la giudice Servini de Cubria non abbia deciso di interrompere il periodo feriale dei tribunali per ascoltarlo. Cosa che è stata invece costretta a fare dopo il suo suicidio.