NEW YORK — Se n’è andato un altro New York Encounter. Se n’è andato anche Frank, un grande amico. Ci ha lasciati lunedì mattina alle 7 e 30. Ha aspettato che anche l’ultimo camion di materiale lasciasse Chelsea e che i locali del Manhattan Pavilion non avessero più traccia visibile dell’Encounter. Se n’è andato in pace, con grande discrezione e il cuore di un leone. Fiero, certo, e reso mansueto dal Padre di tutti i leoni. E’ riuscito a resistere più a lungo di quanto i medici si aspettassero così che la sua partenza non interferisse, non portasse via niente e nessuno da quella “cosa speciale” che per il sesto anno si svolgeva qui a New York. Frank Simmonds era una “persona speciale”. L’anno scorso lui e monsignor Albacete (certamente speciale anche lui) erano stati i protagonisti della prima serata, dettando il tono del weekend, spalancando gli occhi ed il cuore di tutti. E adesso non sono più tra noi. 



Ma che valore ha essere “speciali” se poi si muore?

Thank you! You are doing something special. You are very special people“. E’ un altro “Frank” a dirmi così. Questo è il capo degli eventi del Manhattan Pavilion. “Grazie a voi! State facendo una cosa speciale. Siete gente speciale”. E’ sabato, l’Encounter è nel bel mezzo della sua avventura e inciampo in Frank Mejia mentre cammino avanti e indietro. Una delle preoccupazioni maggiori che avevamo era legata al fatto che l’edizione di quest’anno si svolgeva in locali nuovi, molto più grandi, con persone sconosciute a condurre tutte le questioni tecniche. Incontro Frank e mi viene spontaneo ringraziarlo per come stanno andando le cose. Lui mi abbraccia e mi dice quelle cose.  



Ma cos’è che vuol dire fare cose speciali se poi anche queste cose speciali finiscono? 

Finché uno è giovane può anche non pensarci: si lancia in una impresa affascinante e se ne sente protagonista. Ma noi che abbiamo una certa età, che come tutti ci mettiamo anima e cuore (e anche sangue, sudore e lacrime) ce l’abbiamo ben presente. Eppure il NY Encounter è una vita, è una festa della vita, ti fa venire voglia di vita! Quest’anno più che mai: quasi trenta eventi nel giro di un weekend, cinque mostre originali, un ristorante, due bar, più di trecento volontari, migliaia di visitatori, due straordinari spettacoli nuovi di zecca, grandi personaggi da tutta America ed oltre e l’abbraccio del Cardinal Dolan, Arcivescovo di New York… molto, molto di più di quel che siamo capaci, molto al di là dei nostri limitatissimi mezzi. 



Cos’è che vedono in noi quelli come Frank? Cosa c’è di speciale se ad un certo punto tutto finisce, dal NYE alla vita degli amici? Tutti quelli che sono capitati da noi in questi giorni vi diranno che l’Encounter riempie di “speranza”. 

Ecco quello che vedono: le facce della gente illuminate dalla speranza. Le facce della gente sono lo spettacolo più bello e misterioso del mondo.

Le cose, la vita finiscono perché possano riaccadere.

Chi viene vede il volto umano di chi cerca il volto umano. Non è un gioco di parole, è un fatto, una cosa che c’è e che si percepisce così come si sentono il caldo e il freddo. Tutto ha sapore di speranza, anche la nostra incapacità, le fesserie che facciamo e il dolore che tante volte ci prende. La speranza, diceva don Giussani, è certezza nel futuro fondata su qualcosa di presente ora. E quello che è presente è un seme di Infinito. C’è un seme di infinito in ogni vita, e c’è un seme di speranza in ogni opera — piccola o grande che sia — di chi lo riconosce e lo abbraccia. 

Il presente diventa “speciale”, diventa eterno, diventa una strada che si può percorrere. Una strada bella, la più bella!