Spesso, durante le interviste realizzate in questi ultimi tempi, la domanda che ho posto era se la relazione tra papa Wojtyla e la sua Polonia potesse riproporsi con l’attuale Pontefice rispetto alla sua Argentina. Non è trascorso molto tempo e un invito a una manifestazione del Movimento “Para el cambio”, diretto da Gustavo Vera, mi ha indirizzato verso un’iniziativa che ha moltissimi punti in comune con il pensiero di Bergoglio, tanto da credere, più in là della grande e profonda amicizia personale che li lega, che il suo appoggio a questo movimento sia totale, trasformandosi nella sua “Solidarnosc”. Abbiamo intervistato Gustavo Vera nel suo ufficio di deputato del Municipio di Buenos Aires.
Lei è conosciuto per essere uno degli amici più stretti di papa Francesco. Attualmente è leader di un movimento che si chiama “Bien Comun” e ha presentato la sua candidatura a Governatore di Buenos Aires. Questo movimento però è lo sviluppo di un altro, che nasce nel 2001 e si chiama “Alameda”. Ci può spiegare in che consisteva?
L’immensa crisi del 2001 in Argentina portò alla nascita di assemblee popolari in ogni quartiere, che tentarono di sopperire alla mancanza di un potere politico, manifestatasi con il cambio di ben 5 Presidenti in una settimana, attraverso una partecipazione: Alameda nasce nel popolare quartiere di Avellaneda e prende il nome da un bar che, come tantissimi esercizi all’epoca, aveva chiuso i battenti. Nei suoi locali iniziammo un’opera basata su iniziative di solidarietà, come la creazione di mense comuni, club del baratto (e questo mostra a che punto si era arrivati nel Paese), ma anche la nascita di cooperative di lavoratori che si sono impossessati di fabbriche fallite riattivandone la produzione.
C’è stato qualche altro settore in cui eravate attivi?
La ripresa economica iniziata nel 2002 ha portato benefici all’industria nazionale, a causa delle conseguenze finanziarie della crisi sulle importazioni, ma, soprattutto nei settori tessile e alimentare, ha contributo alla creazione di entità produttive clandestine e di conseguenza di forme di lavoro senza regole, spesso con mano d’opera importata da paesi limitrofi: sfruttamento della schiavitù, quindi, ma anche un’impressionante escalation del mercato della prostituzione. Alameda si è sviluppata anche nella lotta e la denuncia delle mafie che alimentavano questi fenomeni, fino a diventare un referente nazionale.
Come si è arrivati alla nascita del movimento “Para el cambio” (“Per il cambiamento”)?
Durante questi anni, nonostante il grande appoggio di gente e istituzioni, il mondo politico non ha appreso il messaggio di una simile iniziativa, rimanendo chiuso nei suoi schemi anche perché manovrato da interessi illeciti quali mafie e narcotraffico, che ormai sono imperanti nell’Argentina odierna. Giocoforza quindi entrare nella politica attraverso un movimento che interpreti e diffonda nuovi valori basati non solamente sulla lotta alle mafie, ma anche su di una differente interpretazione della politica intesa come servizio.
Quindi entrare in campo è stato “naturale”?
Non potevamo più attendere che un sistema corrotto potesse cambiare: quindi quando il movimento “Progetto Sur” di Pino Solanas ce ne ha offerto l’opportunità, malgrado non fosse completamente affine a tutti i nostri ideali, ma sicuramente contrario al Kirchnerismo e al Macrismo (due facce della stessa moneta politica oggi imperante), abbiamo aderito. Avvisando molto chiaramente che una volta entrati nella Legislatura di Buenos Aires avremmo attuato le nostre politiche fino in fondo, donando il 60% del nostro stipendio e continuando con le denunce contro la mafia, differenziandoci. Cosa che ha portato alla nascita di “Bien Comun”: e siamo orgogliosi di aver portato avanti il nostro programma e i principi per i quali la gente ci ha votato fino in fondo. Siamo convinti che il sistema corrotto attuale non sia opera dello Spirito Santo, ma prodotto di una società che lo permette, giustificandolo: per questo crediamo che il momento del cambiamento sia ormai alle porte.
Com’è nata l’amicizia con Bergoglio?
È cominciato tutto nel 2008. Sapevamo che Bergoglio era un religioso al di fuori degli schemi abituali per la sua fattiva militanza a fianco dei poveri e dei più deboli, non solo come presenza ma anche con donazioni sia economiche che di derrate alimentari. Il suo studio era in gran parte occupato da alimenti che poi lui distribuiva nelle sue settimanali visite alle villas miserias e nei quartieri più popolari. Come Alameda eravamo arrivati al punto di temere seriamente per le nostre vite, a causa dei 18 attentati subiti e delle continue denunce fatte contro le mafie più disparate, che avevano incluso sempre più i traffici sessuali e il narcotraffico, due campi nei quali sono introdotti personaggi di altissimo livello sia politico che di forze di polizia. Le omelie di Bergoglio si sposavano appieno con la nostra filosofia, così gli scrivemmo.
Poi cos’è successo?
Lui ci incontrò dopo pochissimo tempo insieme a un altro amico, Juan Grabois, fondatore del movimento dei lavoratori esclusi e dei cartoneros (un’organizzazione che si occupa del ritiro dei rifiuti cartacei, ndr). Fu l’inizio di un rapporto non solo di collaborazione fattiva ma anche, a livello personale, di una profonda amicizia. Il 1 luglio dello stesso anno Bergoglio celebrò una Messa dedicata alle vittime della schiavitù sul lavoro e dello sfruttamento nella Parrocchia di Nostra Signora degli immigranti, qui a Buenos Aires, prima di tante iniziative: nell’omelia paragonò me e Juan ai passanti che aiutarono il paralitico ad avvicinarsi a Cristo per essere curato, calandolo dal tetto della casa dove viveva. Noi, in definitiva, eravamo quelli che avvicinavano la Chiesa alle problematiche di cui doveva occuparsi che sono impedire la schiavitù, combattere le mafie e cercare di recuperare non solo la vita ma anche la libertà e la dignità delle persone sottomesse.
E della corruzione in un Paese potenzialmente ricchissimo, altro tema tanto caro a Bergoglio, che mi dice?
Quando Juan Battista Alberdi, scrittore e diplomatico, incontrò Faustino Sarmiento, allora Presidente Argentino (seconda metà dell’800, ndr), commentando il sogno di introdurre una democrazia di tipo nordamericano, all’epoca rivoluzionaria, gli disse che sfortunatamente l’Argentina è una terra ricca e ciò impoverisce l’essere umano, perché lo astiene dall’affrontare la natura, dato che quest’ultima gli procura tutti i suoi beni senza richiedere sacrifici in cambio. Per questo, tranne che all’epoca di Peron, in cui venne tentata una politica industriale, il peso delle materie prime prodotte ha sempre impedito una politica di benessere comune. Prima c’era la carne, adesso la soia, ma la crescita economica dovuta a queste produzioni non ha mai significato una crescita tecnologica; anzi, lo ripeto, l’ha sempre impedita, essendo collegata alla mancanza di principi morali della classe politica. Insomma, la “rivoluzione americana” aveva potuto trionfare perché nella guerra civile il Nord, povero economicamente ma con una collettività molto unita a causa delle difficoltà, aveva trionfato su di un Sud agricolo ma latifondista e corrotto, dove la grande ricchezza era appannaggio di pochi, proprio come nell’Argentina fino a oggi.
Allora perché non rompere gli schemi puntando direttamente in alto, e cioè alla Presidenza argentina, invece di limitarsi a governare Buenos Aires?
Per realizzare ciò occorre una struttura militante a livello nazionale che attualmente non possediamo: disponiamo sì di una rete antimafia nazionale, ma a livello politico cerchiamo di fare il massimo nelle zone dove già operiamo: non vogliamo promettere cose che non siamo in grado di compiere. Sappiamo di godere della fiducia di molte persone anche al di fuori del territorio dove siamo presenti, ma per la legge argentina dobbiamo disporre di un riconoscimento giuridico, attraverso una presenza su tutto il territorio che, lo ripeto, al momento non abbiamo. Preferiamo poi attuare una politica graduale, che al momento fa concentrare i nostri sforzi a Buenos Aires, dove Alameda e il movimento sono nati.
Quindi come si pensa di attuare il cambiamento?
Noi vogliamo rappresentare un connubio tra solidarietà e mani pulite, nel senso che vogliamo pulizia nelle istituzioni ma anche dare una linea di condotta. Credo che a livello nazionale bisogna anzitutto iniziare a portare a termine le decine di indagini su illeciti e corruzione che coinvolgono gli attuali poteri, sia a livello nazionale che regionale, e iniziare a mettere in moto iniziative concrete di redistribuzione equa delle immense ricchezze del Paese: questa è la nostra bandiera. È altresì obbligatorio seguire il percorso di Pio La Torre in Italia, confiscando gli immensi beni delle mafie per convertirli in occasioni che possano sviluppare non solo lavoro ma anche risolvere il problema abitativo: si pensi alla quantità di appartamenti occupati da case d’appuntamento o postriboli, che potrebbero essere redistribuiti a persone o famiglie bisognose. Tornando alla confisca di beni mafiosi, nel nostro territorio ci sono oltre 4000 piste clandestine su cui opera il narcotraffico: terra fertile e proprietà vastissime che potrebbero essere redistribuite. Pensiamo anche all’immensa quantità di denaro sporco gestita in società fittizie destinate al riciclaggio: buona parte dell’attuale nuova borghesia sparirebbe di colpo e di quei beni beneficerebbero tutti.
Di certo il problema degli alloggi è importante…
A livello cittadino il problema della casa è grave, dato che esistono 500.000 persone che vivono per strada e ben 375.000 appartamenti che non pagano un centesimo di tasse e sono vuoti: pensiamo a una manovra del tipo di quelle fatte a New York o in Olanda, dove la casa è da considerarsi un bene sociale e quindi un multiproprietario che non metta nel mercato le sue proprietà sfitte deve pagare una tassa supplementare che alimenta un Fondo per la costruzione. Trascorso un certo periodo, senza ledere il diritto di proprietà, il Municipio la affitterebbe a un prezzo equo a famiglie bisognose.
Ma il Municipio di Buenos Aires dispone di capitali importanti…
Il Comune ha fondi per 85.000 milioni di pesos, una cifra enorme, che però viene mal spesa, soprattutto in infrastrutture non necessarie che però vengono gestite da imprese “amiche”. L’istruzione e la salute pubblica vengono lasciate alla deriva, quindi noi pensiamo che bisogna intervenire da subito degerarchizzando aree importanti totalmente abbandonate sia negli ospedali che nelle scuole, in primis attraverso investimenti mirati a modernizzarle e contemporaneamente aumentando gli stipendi degli addetti, che attualmente sono talmente miseri e li costringono a lavorare nelle cliniche o scuole private. Invece di costruire scuole nuove si utilizzano container, che sono pericolosissimi e non hanno spesso le condizioni igieniche necessarie.
Se ne vedono molti effettivamente, specie nelle Villas.
Poi c’è una grande questione morale: non è etico che un deputato nazionale o provinciale guadagni come un manager di una multinazionale. Noi diamo il 60% del nostro stipendio a organizzazioni che si occupano di solidarietà, perché riteniamo la politica un servizio. Collegato a ciò c’è anche la presenza negli apparati statali e municipali di una gran quantità di impiegati che non lavora, nel senso che ha incarichi fittizi: non li vogliamo licenziare, ci mancherebbe, ma solo offrirgli un lavoro degno e realmente operativo e scevro da condizionamenti politici che spesso sono costretti ad accettare. Perché a tutti i livelli bisogna recuperare la cultura del lavoro che possa liberare le persone dalla povertà e dalle elemosine di piani falsamente solidali, basati sullo scambio politico e quindi sulla sottomissione.
E sulla sicurezza, problema del quale tutti discutono?
Bisogna anzitutto trasferire la giustizia penale ordinaria da un ambito governativo a uno municipale scevro da condizionamenti politici e che quindi possa operare indipendentemente, così come una forza di polizia che non abbia legami con poteri vari, cosa che attualmente impedisce di combattere la malavita. Una polizia quindi indipendente anche dai servizi di sicurezza governativi, che generalmente “informano” male perché al servizio del potere politico di turno. Tutto ciò non costituisce assolutamente un progetto costoso da realizzare.
Si tratta quindi di qualcosa di radicale, che però credo abbia bisogno di tempi lunghi…
In generale, in questo processo conto moltissimo sull’effetto dirompente che sicuramente avrà la visita di Bergoglio nel 2016. Personalmente ritengo che avrà lo stesso impatto massivo del ritorno di Peron in Argentina moltiplicato per dieci, aiutandoci moltissimo nella costruzione del cambiamento che stiamo facendo dandogli un’accelerazione incredibile. Sono convinto che tutte quelle componenti che stanno lottando per il bene comune o lo includano nei propri programmi avranno la possibilità di operare perché il messaggio di papa Francesco, che già sta operando cambi epocali in ambito sia di politica mondiale che di valori, si concretizzi migliorando le istituzioni argentine a partire dal 2016.
Papa Wojtyla e la Polonia, Bergoglio e l’Argentina: un parallelo quanto mai attuale. Cosa mi può dire al riguardo ?
Solidarietà senza compromessi: questa sarà l’Argentina.
(Arturo Illia)