In Russia la comunità cattolica ed alcune altre comunità cristiane festeggiano il Natale il 25 dicembre secondo il calendario gregoriano. Poi arriva il nuovo anno, che in Russia si è imposto nel tempo come la festa più sentita dalla gente, una festa che, secondo un uso ormai consolidato, va passata in famiglia o con le persone più care e vicine. Ed ora il 7 gennaio ci apprestiamo a commemorare il Natale secondo il calendario giuliano, che in questa data festeggiano alcune chiese ortodosse, tra cui quella russa, ma anche la chiesa greco-cattolica ed alcune altre comunità cristiane. Quindi per due settimane c’è un clima quasi “naturale” di festa.
Quest’anno gli eventi festivi accadono in un momento non facile per l’intera comunità russa, ma anche per tanti altri nel mondo. La situazione di indubbia crisi che si respira, nonostante un diffuso infuso ottimismo, la dinamica degli avvenimenti nella vicina e lontana allo stesso tempo Ucraina, dove le tensioni non sembrano allentarsi, ma al contrario inasprirsi, la pace tanto cercata, quanto bistrattata in tanti luoghi del mondo, dove fragili corse al potere restano basate sull’odio e sulle offese subite e fatte in passato, lo sconcertante diminuire del valore della vita che arriva a livelli di barbarie mai riscontrati prima, la persecuzione dei cristiani in Medio Oriente e in Africa, ma non solo, là dove essi sono semplicemente portatori di una novità troppo scandalosamente provocante… tutto ciò cospira a minare anche quel tenero filo di speranza che sempre porta con sé un anno nuovo appena cominciato.
Ora, in questo clima, che direi mondiale, quello che non può non ferire anche il cuore più indurito è che non sono i valori, le teorie a soffrire, non c’è una sofferenza delle ideologie. A soffrire, a perdere la speranza sono gli uomini, uomini concreti. È l’uomo, l’uomo concreto ad essere al centro dell’attacco di questa che potremmo chiamare una sorta di “Chernobyl spirituale” in cui ad essere preso di mira è purtroppo l’essere stesso, la persona concreta. Anche se di questo si parla poco o niente, è in atto una tragedia, e a soffrirne è proprio l’io.
È in questo contesto che ci raggiunge il Natale. E sorprendentemente questo annuncio è capace di tenere conto di questi fattori di tragedia molto più di tutte le nostre possibili analisi. Questo semplice e sconvolgente evento allo stesso tempo, è capace di tenere presente tutti i fattori in gioco compresi tutti gli orrori ad essi connessi. I tempi sono sempre stati “cattivi”, anche se a noi che viviamo i nostri tempi, questi possono sembrarci — e forse lo sono — particolarmente “cattivi”.
Ed ecco che come duemila anni fa Egli viene. Tutto l’Avvento abbiamo risentito e ripercorso questo pungolo di “toska”, questo clima di nostalgia per il Mistero di Dio, che è Colui che viene e ci chiama a partecipare di questa sua strana forza di attrazione e di cambiamento.
E come duemila anni fa ai pastori, anche a noi oggi il Mistero di Dio chiede di accogliere questo segno al tempo stesso grande, grandissimo e semplice, semplicissimo: un bambino, che ha bisogno di tutto, ma da cui si irradia una luce bellissima che abbraccia, che riempie di stupore, che infonde voglia di ricominciare, desiderio di ricostruire le città distrutte come dice il profeta Isaia.
E questo segno, questo Bambino che è il Segno supremo della presenza di Dio tra gli uomini, porta con sé una chiave che apre sempre di nuovo quelle porte del cuore troppo velocemente chiuse, apre una prospettiva, invita ad incontrarci, a metterci in rapporto come cent’anni fa accadeva a uomini che sul fronte della grande guerra si odiavano senza nemmeno conoscersi. Questo Bambino introduce il perdono che è più forte di qualsiasi potere, la grazia di una gratuità più forte perfino della pretesa di fare buoni gli uomini, nonostante loro.
A noi come ai pastori duemila anni fa sono dati gli stessi strumenti: questo bellissimo cuore che Dio ci ha fatto e che chiede di essere se stesso in ogni situazione, questo cuore che può pulsare di stupore e cambiare umilmente il destino del mondo intero. E questa bellissima e scomoda libertà che non si riesce ad accontentare con qualcosa di meno dell’infinito, e che ci urge ad aderire a questo Bambino, a seguirlo.
Il Natale non è una festa che divide, anche se lo festeggiamo in date diverse, e non mette neppure una barriera che divide gli uomini in credenti o non credenti. Dio viene per tutti, come venne duemila anni fa, e non fece scelta di rivolgersi solo alle persone particolarmente religiose ma si offrì a tutti, a tutti coloro che erano disposti ad accoglierlo, a quegli uomini di buona volontà di cui parla il Vangelo, a quegli uomini che Dio ama, cioè a tutti, perché il Mistero di Dio che si fa compagnia al destino dell’uomo ama tutti, e ciascuno secondo il proprio destino.
Il Natale non sarà allora formale, non sarà riaccaduto invano se ci lasciamo stupire da questo Bambino, se lasciamo che cuore e libertà siano provocati, rimessi in moto.