Il 2014 si è chiuso, lasciandosi alle spalle il picco della recrudescenza jihadista di Isis e alcuni episodi di terrorismo, disseminati fra Europa e Australia, bollati come opera di pazzi dai media internazionali. E che opera di pazzi, se vogliamo andare al fondo, non sono. Ma l’anno che è appena passato ci lascia in eredità anche un altro aspetto, non secondario, dell’evolversi dei tempi: due attentati incendiari in due moschee in Svezia, eventi che hanno fatto gridare subito all’islamofobia e all’intolleranza verso gli immigrati. Nulla che non ci aspettassimo, per la verità, ma teniamo per un attimo in caldo questi due episodi, perché quando ci torneremo alcuni dei nostri interrogativi prenderanno più compiutamente corpo.



Quella che pareva un’ascesa inarrestabile, mi riferisco al multiculturalismo aggressivo degli ultimi anni, oggi inizia a segnare le prime crepe sociali e politiche; non si pensi solamente all’avanzata delle formazioni euroscettiche, che fanno dell’immigrazione controllata un cardine imprescindibile. Quello è il risultato finale, evidente a tutti, ma esiste un movimento di idee di fondo che sta lentamente rivedendo il percorso fatto finora e ne sta limando, come avrebbe fatto Ockham con il suo rasoio, tutte le asperità inservibili o ritenute dannose per il tessuto sociale. Ed ecco che alle spinte relativiste tornano a contrapporsi spinte uguali e contrarie che riportano alla tradizione locale e nazionale, torna a farsi strada un concetto di libertà che non sia determinato dall’alto e dunque soggetto ai diktat buonisti e perbenisti, torna, in poche parole, a farsi strada l’idea che l’architrave concettuale e psicologica finora imposta alla società occidentale abbia portato solo danni e incapacità di riconoscersi in qualcosa. Al caos, in poche parole.



A fronte di questo sommovimento lento ma costante, capace di minare le basi del processo di infiltrazione estremista nelle strutture portanti della società sino ad oggi galoppante, nasce la necessità per chi finora ha spinto sul pedale dell’acceleratore al fine di disgregare i vecchi valori e sostituirli con i propri, di rinnovare un certo tipo di pensiero e di azione, mirata ad un’ultima, forse disperata difesa delle posizioni acquisite: svuotamento della coscienza collettiva occidentale in favore dell’accettazione estremista, creazione di un senso di colpa quasi isterico nel linguaggio e nell’agire di modo che l’Occidente avvertisse di offendere qualcuno anche solo aprendo bocca, strutturazione di paletti sociali ed etici oltre i quali tutto è xenofobia e tutto è islamofobia. Concetto “riservato” all’Europa e non applicabile agli intellettuali arabi, che criticano aspramente l’estremismo anche di più di quanto non si faccia in Occidente. Dalla tv ai media online, chiunque parla viene bersagliato e ostracizzato, quando va bene. Oltre ovviamente ai tribunali sharitici (Sharia Courts) diffusi in tutta Europa, e dei quali nessuno vuol parlare, un po’ per paura di ritorsioni un po’ perché una parte è ben ricompensata per non parlarne. Qualcuno coraggiosamente non ha accettato, qualcuno invece sì e il risultato è un fenomeno presente, ma passato pressoché sotto silenzio.



Dopo il lungo periodo di fuoco che ha contraddistinto l’avanzata di Isis, con tutto ciò che ne è conseguito fra Iraq e Siria, e nel quale fra decapitazioni di massa e deportazioni di donne per la schiavizzazione da parte dei jihadisti parlare di islamofobia sarebbe stato controproducente oltre che dannoso, il silenzio dell’estremismo intellettuale è finito. E possiamo tornare laddove avevamo iniziato: in corrispondenza con questi due attentati incendiari, guarda caso nella democratica e tollerante Svezia in cui si contano più di nove milioni di fedeli musulmani, si torna a sentir parlare di islamofobia e di intolleranza. Ed è proprio nell’Europa del Nord dove il progetto invasivo studiato a tavolino e datato ormai lontano nel tempo, ha creato dei veri e propri territori franchi e ha preso il via la globalizzazione del multiculturalismo e dell’estremismo, camuffato da società perfettamente integrata, dove il metodo della Fratellanza applicato all’etica ha dato i suoi frutti migliori, tanto da costruire un’ascesa irresistibile. Tutto questo è in questa sede difficile da analizzare, ma basti sapere che Omar Mustafa, capo dell’associazione dei musulmani di Svezia, intervistato sull’accaduto ha chiosato parlando di “odio per gli stranieri in aumento” e di “astio verso la comunità musulmana nel Paese”.

E i media internazionali, italiani in prima fila, hanno seguito la scia, riportando un servizio della rivista Expo, parlando di sequela di attentati anti-Islam in Svezia: uno nel Dicembre del 2013 (ben 12 mesi prima) e da quel momento uno al mese fino al Natale appena trascorso, non spiegando nel dettaglio di cosa si sia trattato. A patto che una finestra rotta si possa definire attentato, ovviamente. Come sempre mi piace lasciarvi con delle domande a cui rispondere rivolgendovi senza paura alla vostra coscienza: cosa vogliono significare questi due episodi in Svezia? Anche qui opera di un pazzo? E se di pazzo si trattasse, da che parte sta?