Ieri l’aviazione di Putin ha iniziato i raid sulla Siria. La missione è cominciata nemmeno 24 ore dopo il discorso del presidente Obama al summit Onu dedicato al terrorismo e cominciato dopo la seduta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite di lunedì. Gli osservatori sono tutti d’accordo nel rilevare che l’incontro Obama-Putin, con le aperture del presidente Usa a tutti gli attori che possono contribuire alla sconfitta dell’Is, a cominciare dalla Russia e dall’Iran, può segnare una svolta nell’intera regione, anche se per ora non è chiaro in quale direzione. “Organizzare raid aerei contro l’Isis o inviare soldati in Siria è del tutto inutile e controproducente perché le guerre si fanno quando ci sono le condizioni politiche”, ha dichiarato Rocco Buttiglione, vicepresidente dell’Udc. Abbiamo raccolto il suo punto di vista sull’area più infuocata del mondo. 



Lei, professore, ha anche detto che “in Siria non siamo ancora in grado di distinguere chi sono i nemici e chi sono gli amici”. Non è un po’ troppo?
Ma è così. Non c’è accordo su chi siano gli amici e chi i nemici e finché non c’è chiarezza su questo non è bene mandare soldati. Teoricamente il nemico di tutti è Isis. Però per i turchi il primo nemico sono i curdi, il secondo Assad, il terzo forse Isis. Per i sauditi il primo nemico sono gli sciiti, poi Assad, poi — forse — Isis. Per l’Iran il primo nemico sono i sunniti, poi forse Isis. Forse bisogna prima di tutto concordare sul fatto che Isis è il primo nemico di tutti e poi trarne tutte le necessarie conseguenze.



Anche lei pensa che prima occorra rimuovere Assad?
Assad ha versato troppo sangue perché la coalizione possa accettare di rimetterlo al potere. Regaleremmo ad Isis troppa parte della società siriana. D’altro canto non si possono consegnare nelle mani dei nemici di Assad tutte le minoranze — cristiani, alauwiti, sciti, drusi — che con Assad hanno avuto una relativa libertà ed eguaglianza di diritti. Sarebbe pure sbagliato escludere dalla vita politica il partito Baath che è l’unica forza che abbia una minima idea di laicità e che unisce la gran parte delle competenze professionali e scientifiche del paese. Bisogna negoziare l’uscita di scena di Assad e dare garanzie che i settori sociali che egli rappresenta non vengano abbandonati alla vendetta dei loro nemici ed abbiano un ruolo nel futuro del paese.



Ma la tesi dell’allontanamento “senza se e senza” di Assad come prerequisito a qualsiasi iniziativa seria non appare contraria ad ogni realismo politico?
La rimozione di Assad non è la premessa ma il risultato di un dialogo e va contrattata. Assad non può essere il capo della alleanza anti-Isis, ma non può nemmeno essere escluso da questa coalizione. Si negozi a che condizioni egli è disposto a ritirarsi lasciando ad un altro la guida dei suoi seguaci. Questo è il punto su cui Putin (Assad sempre e comunque ed a qualunque costo) ed Obama (che muoia Assad costi quel che costi) possono incontrarsi, magari con la mediazione dell’Europa.

Come valuta il repentino ritorno della Russia nello scenario? Perché ora? 

Putin rientra adesso nel gioco perché è diventata evidente la contraddittorietà e l’inconcludenza della politica dell’occidente. Gli americani hanno avuto nelle mani la palla vincente e non l’hanno saputa giocare. Italia e Germania hanno sempre avuto delle riserve sul modo in cui i nostri alleati hanno gestito la crisi. Forse sarebbe il caso di costruire una posizione unitaria europea per tentare una mediazione ragionevole…

Perché secondo lei gli americani fin dalla formazione dell’Is nel 2014 sono sembrati privi di strategia?
Il fatto è che gli Stati Uniti hanno da tempo spostato il centro di gravità della loro politica estera dall’Atlantico al Pacifico. Per di più con le nuove tecniche estrattive sono diventati di nuovo grandi produttori di petrolio ed anche questo riduce l’importanza del Medio Oriente ai loro occhi. Seconderanno una iniziativa europea se questa ci sarà. Altrimenti si limiteranno a interventi tampone, di riduzione del danno.

Renzi ha esortato a non ripetere in Siria l’errore della Libia. Il nostro governo, quando all’inizio dell’anno è scoppiato l’allarme Is in Libia, è sembrato scegliere un interlocutore privilegiato nell’Egitto di Al Sisi. E’ la via giusta? Non sembra di assistere a un binario morto?
Abbiamo davvero un interlocutore privilegiato? A me sembra piuttosto che fino ad ora abbiamo cercato di non inimicarci nessuno ed abbiamo puntato tutto sulla mediazione Onu che però, fino ad ora, non ha dato i risultati sperati.

Si parla di aspirazioni neo-ottomane di Erdogan. Fa parte di tale politica anche l’ambigua condotta sull’Is e l’avere, di fatto, dischiuso la cosiddetta via balcanica agli immigrati che vogliono venire in Europa?
Erdogan in questo momento è molto debole. L’economia va male e non ha una maggioranza in Parlamento. Sul percorso che va verso le popolazioni di lingua turca, nell’arco di crisi che va dal Caucaso all’Afghanistan, si scontra con Putin. Nel mondo arabo si scontra con gli sciiti e la guida del mondo sunnita gli è contesa dall’Arabia Saudita. Sulla via dell’Europa non ha ottenuto di entrare nell’Unione e noi non siamo riusciti a dare concretezza all’idea di una partnership privilegiata. Questo è un momento in cui una proposta seria dell’Unione europea potrebbe risolvergli molti problemi ed indurlo a collaborare ad una politica di stabilizzazione dell’area.

Cosa dovrebbe fare l’Europa?
Bisogna aprire la prospettiva del cambiamento prima di tutto del cuore e della cultura, poi delle condizioni di vita materiali. Serve un grande progetto di partnership euro-mediterranea per creare un’area di benessere e di sviluppo condiviso. Forse, prima di tutto, serve un viaggio del Papa per ritrovare un cammino che parte dal cuore. E non è detto che il Papa non ci stia pensando.

(Federico Ferraù)