“Russia e Stati Uniti fingono di collaborare nella lotta allo stato islamico, ma nella realtà non hanno nessuna intenzione di unire i loro sforzi in Siria”. E’ la chiave di lettura di Carlo Jean, generale e analista militare. Ieri Mosca ha iniziato a colpire obiettivi militari in Siria, con raid su tre province nel corso di un’operazione congiunta con le forze di Damasco. Putin ha sottolineato che è stato Bashar al-Assad a chiedergli di intervenire, e che Mosca si limiterà ad attacchi aerei senza inviare truppe di terra. Per il Cremlino lo scopo è preventivo, cioè impedire ai terroristi di colpire sul territorio russo.



Generale Jean, su quali obiettivi sono cadute le bombe russe?

Gli aerei russi non hanno colpito lo stato islamico, bensì la città di Homs. Quest’ultima è controllata da Jabat al-Nusra, una formazione legata ad Al Qaeda.

Di fatto Mosca colpisce un alleato dell’Isis?

Neanche per sogno. Isis e Al Qaeda sono ai ferri corti, si sono scontrati in modo pesante sia in Siria sia in Libia e i gruppi qaedisti sono risultati vincenti. La stessa Derna, in Libia, è stata conquistata dalla brigata dei martiri “Abu Salim” legata ad Al Qaeda.



Qual è la strategia dietro a questi raid?

La strategia è legata agli obiettivi della Russia che sono tutt’altro che chiari. Un obiettivo potrebbe essere quello di sostenere Assad, che si trova in cattive acque. Un secondo obiettivo potrebbe essere evitare che gli Stati Uniti colpiscano troppo Assad. Ciò motiverebbe il dispiegamento degli intercettori Mig 30, dei caccia ideati per contrastare missili e aerei nemici: sappiamo infatti che lo stato islamico è privo di aviazione. Un terzo obiettivo potrebbe essere aumentare il peso della Russia in un negoziato che prima o poi si farà.

Putin mira a distruggere l’Isis?



La strategia di Putin non mira a distruggere l’Isis, in quanto sa benissimo che a farlo potrà essere solo la coalizione guidata dagli Stati Uniti e sostenuta dai peshmerga curdi, dalle milizie sciite e dai Paesi sunniti quali Arabia Saudita e Turchia. Anche se Ankara deciderà il da farsi solo dopo le elezioni dell’1 novembre.

Qual è invece la strategia degli Stati Uniti?

Gli Stati Uniti puntano molto sull’appoggio della Turchia. L’Isis ha bisogno di soldi e reclute, e se Ankara chiude bene le frontiere il califfato subisce un duro colpo sia dal punto di vista finanziario sia dei reclutamenti. La sorte dello stato islamico dipende molto da che cosa farà la Turchia. Erdogan infatti non perdona ad Assad di averlo sfidato, ma dopo le elezioni dell’1 novembre potrebbe emergere un panorama completamente differente, magari con un governo di coalizione. Io mi aspetto che Erdogan sia sconfitto.

Che cosa cambierà per la politica estera della Casa Bianca dopo le elezioni in Turchia?

La politica mediorientale di Stati Uniti e Turchia, due tradizionali alleati, è fallita ed entrambi i Paesi sono in una fase di ripensamento della loro strategia. Negli Stati Uniti per esempio il generale Petraeus ha proposto un’alleanza con la parte più moderata delle formazioni che fanno capo ad Al Qaeda. In particolare l’Ahrar al-Sham, nella zona di Idlib, potrebbe schierarsi insieme ai peshmerga per combattere l’Isis.

 

Che cosa si sono detti Putin e Obama durante il loro incontro a New York?

Putin ha dimostrato un’estrema abilità tattica, mettendo fuori gioco gli americani diverse volte. Obama è tutt’altro che un condottiero, ed è prigioniero di una visione idealistica delle relazioni internazionali. Parlando all’Onu ha riaffermato che l’era del confronto tra le grandi potenze è terminato e che il multilateralismo della globalizzazione domina ovunque. Putin invece segue una visione di realismo e di sostegno degli interessi internazionali di Mosca, in quanto è convinto che il multilateralismo serve solo se è in grado di garantirgli un surplus di potenza.

 

Come sono in questo momento i rapporti tra Mosca e Washington?

L’America è disperata per i guai in cui si è cacciata per la sua ignavia. Al punto che alcuni esponenti Usa, tra cui lo stesso segretario di Stato John Kerry, guardano alla Russia come a un’ancora di salvezza.

 

Russia e Stati Uniti hanno una strategia comune sulla Siria?

Ritengo ben difficile che Russia e Stati Uniti possano collaborare davvero. E’ abbastanza probabile che facciano finta di collaborare perché non possono fare altro. Per Obama era difficile rifiutare di fronte all’Assemblea Onu l’apertura della Russia rispetto alla lotta allo stato islamico e alla ricerca di una soluzione politica per la Siria. Gli Stati Uniti non potevano dire di no, e di conseguenza anche malvolentieri hanno dovuto dire di sì.

 

E’ un sì di forma o di sostanza?

E’ abbastanza difficile che questa collaborazione abbia veramente sostanza. Anche se sembra che i primi bombardamenti russi nella zona di Homs siano stati comunicati preventivamente agli Stati Uniti.

 

(Pietro Vernizzi)