NEW YORK — Sarebbe ora di cominciare a parlare di elezioni presidenziali. Sono rientrato a New York a fine estate dopo aver trascorso alcuni giorni sul suolo natio e devo ammettere che sono subito finito in preda a “cattivi pensieri”. C’è voluta la visita del Papa per riscaldarmi un po’ il cuore. Ma i cattivi pensieri, che possono fare danni come le parole, le opere e le omissioni, bussano sempre alla porta. 



Quali sono? Tanto per cominciare non trovo nulla di particolarmente “inspirational” nella lunga lista di pretendenti al trono. Che Donald Trump domini la scena la dice lunga. Trump, il Beppe Grillo d’America. Due comici — Beppe volontario, Donald involontario — che cavalcando il solito proverbiale ed indefinibile “malcontento” si ergono a salvatori della patria, facendo apparire le feste della porchetta e della caldarrosta molto, ma molto più dignitose e culturalmente rilevanti della politica. 



I cattivi pensieri mi vengono anche da questo. Anche, non solo. Vi dico subito che sono il primo a sperare che passino. Ma non è questione di pessimismo umorale. Sono sempre stato fermamente contrario all’ottimismo. Non è quello il punto. Il punto è quel che vedo in questo paese, e vedo tanti segnali brutti. Certo, di cose brutte ne ho viste anche in Italia. Ma ci sono differenze. Cosa vedo qua? L’economia — quella strana cosa creata dagli uomini che gli uomini divora — va così cosà. La Borsa scricchiola, ma tanto la gente continua a metterci i risparmi pur non capendo né perché scricchioli né perché si riprenda. Il dollaro è troppo forte e questo ci rende deboli. Ma i nostri guai non sono lì. E’ nel suo tessuto sociale che l’America, la grande America, rischia grosso, e temo che non se ne renda tanto conto. 



Posso dirvi il mio cattivo pensiero? La società americana di oggi mi sembra come quei bicchieri infrangibili che non si rompono mai finché non cascano male e in un nano-secondo si frantumano in mille pezzi. E noi continuiamo a farci cadere il bicchiere di mano. Pessimismo cosmico? Cos’è cambiato rispetto a un mese fa da spingermi, innamorato d’America come sono, a scrivere queste cose? Trump con le sue sparate e Hillary con le sue e-mail c’erano già, il crimine era già in ascesa su tutto il territorio nazionale così come l’uso dell’eroina, le guerre che combattiamo in giro per il mondo armando i nostri nemici erano già senza speranza, le proteste razziali già si allargavano a macchia d’olio, gli agguati ai poliziotti sempre più frequenti, la Corte Suprema aveva già legittimato i matrimoni gay…

E’ stata l’Italia a farmi pensare. Per paragone. Ed è stato il Papa a farmi capire quel che stiamo rovinando. 

Il tutto è scattato con la prima copia del New York Times capitatami in mano. Front page: la storia di Phyllis Randolph Frye, giudice transgender. A detta del New York Times, a caratteri cubitali e con tanto di foto (sgradevole), un pioniere.

Allora mi son chiesto cosa ci fosse di diverso rispetto all’Italia con la sua carestia economica, la povertà politica, la tragedia dell’immigrazione, la crisi del sistema scolastico e quant’altro. Non sono sintomi analoghi della stessa disgregazione dell’umano? Sì, credo di sì. Ma è proprio a questo livello che l’infrangibile sogno americano sembra ritrovarsi improvvisamente fragile. Qui la storia è giovane, la gente è giovane, quel che si è costruito è giovane. Il colpo d’ala del desiderio di infinito che ha animato questa terra fin dal primo giorno rischia di perdere il filo di un’opera comune per ripiegarsi su di un individualismo sterile e violento. Gli italiani hanno dimenticato ciò che ha costruito la bellezza che li circonda ed il popolo che sono. Gli americani non l’hanno dimenticato, non l’hanno mai conosciuto! Se in Italia questa coscienza si va erodendo un po’ alla volta, qua si potrebbe polverizzare in un attimo. Desiderio di felicità, libertà, lavoro, famiglia, le tenere radici della società americana cambiano continuamente volto generando smarrimento ed anche follia, quasi un’ultima ribellione ad un mondo in cui non ci si riconosce.

Abbiamo aspettato il Papa. L’abbiamo abbracciato ed ascoltato. Francesco ci ha presi per mano indicando al fiume tumultuoso e straripante del nostro immenso e confuso desiderio di vita le sponde di un cammino sicuro. Ora ognuno decida su quale roccia questa società può reggersi, quale sia la pietra angolare della propria giornata. 

Mi vengono in mente ancora una volta le parole che don Luigi Giussani disse ai nostri figli: “Vedete, l’America ha la stessa passione per l’umano che abbiamo noi. Gli manca solo una cosa: Gesù. E’ questo ciò che dovete portare voi”. La stessa preghiera per sé che il Papa ha chiesto ai bimbi di Harlem. 

E’ il nostro compito, di qua e di là dell’oceano, che sia per ritrovare le radici dimenticate del nostro essere o per scoprire quello che ancora non abbiamo conosciuto.