“Se i principali Paesi europei non intervengono e non fanno sedere israeliani e palestinesi attorno a un tavolo, la crisi si trasformerà in un conflitto religioso che farà avvampare non solo il Medio oriente ma anche la stessa Europa”. Lo afferma Jamal Jadallah, corrispondente da Roma per Wafa, l’agenzia di stampa dello Stato di Palestina. Nella notte tra giovedì e venerdì centinaia di giovani palestinesi hanno lanciato bottiglie incendiarie contro il complesso della tomba del profeta Giuseppe a Nablus, in Cisgiordania. L’episodio si è verificato dopo che Hamas aveva proclamato una Giornata di collera a Gerusalemme.
Come è potuto accadere questo attentato contro un luogo sacro dell’ebraismo?
Purtroppo è una situazione creata dagli stessi coloni israeliani che considerano la tomba di Giuseppe come un luogo dove possono pregare. Senza avere nessun permesso né dal governo palestinese né dagli stessi residenti, ogni volta gli israeliani circondano la zona e arrestano tutti i presenti. I giovani alla fine sono arrivati all’esasperazione e hanno dato fuoco alla tomba.
Nel frattempo è salito il bilancio degli israeliani accoltellati dai palestinesi. Da dove nasce quella che è stata definita “Intifada dei coltelli”?
Quanto sta avvenendo non è una terza Intifada, bensì un semplice rifiuto dell’occupazione e della presenza dei soldati israeliani sul territorio palestinese. Stiamo parlando di giovani sui 20-22 anni, che non possono muoversi né circolare liberamente. A qualsiasi ora del giorno sono fermati ai check-point, arrestati, maltrattati e umiliati. Finché non cessa l’occupazione israeliana, rimarrà la stessa situazione.
Perché i metodi dei palestinesi sono cambiati?
La sola novità è che non vogliamo più nessuna presenza straniera, specialmente militare, sulla nostra terra. Non c’è nessuna decisione politica dei gruppi palestinesi, bensì soltanto la rabbia di persone che non sopportano più di essere arrestate e comandate da un esercito che non c’entra nulla con la loro vita.
Chi sono questi nuovi ventenni palestinesi che accoltellano gli israeliani nelle strade?
Nei ventenni palestinesi di oggi non è cambiato niente. Il loro è l’unico modo per esprimere la rabbia davanti a un esercito molto ben armato e addestrato. Le persone normali devono trovare un modo per esprimersi. Israele deve comprendere il rifiuto da parte dei palestinesi della loro presenza come forza occupante.
Quali scenari politici apre questa nuova ribellione dei giovani palestinesi?
La richiesta dei palestinesi e del loro stesso governo è che siano rispettati gli accordi firmati di fronte alla comunità internazionale. Israele finora non ha mai applicato nessun accordo. Questa situazione rischia di portare a un conflitto religioso che noi palestinesi non abbiamo mai pensato né tantomeno indicato come obiettivo.
In che senso parla di un possibile conflitto religioso?
La scelta di Israele di violare i luoghi sacri che storicamente rappresentano islam e cristianesimo sta gettando benzina sul fuoco senza che sia possibile prevedere quali saranno le conseguenze non solo nel mondo arabo, ma anche nella stessa Europa. Vorrei fare notare che a soffrire non sono soltanto i musulmani ma anche i cristiani. Ricordo che Israele ha confiscato una terra appartenente alla comunità cristiana a Cremisan, vicino a Betlemme, tagliando a metà una chiesa per costruire un muro.
Di fatto qual è la posta in gioco?
La vera posta in gioco è che la politica del governo Netanyahu sta portando i palestinesi a non avere più un futuro. E’ arrivato il momento di formare due Stati che vivano in pace sotto la garanzia di Usa ed Europa. Senza questa soluzione, il Medio Oriente entrerà in un conflitto interminabile.
I giovani palestinesi vogliono allargare il conflitto o arrivare a una soluzione politica?
Tutti i giovani, sia palestinesi sia israeliani, vogliono vivere, studiare, vogliono trovare una speranza per ricostruire un futuro. Non ne possono più di uscire ogni mattina ed essere fermati a un check point israeliano, o incontrare un colono integralista armato. La vita che conducono ormai è insostenibile.
Qual è la via d’uscita da questa situazione?
La via d’uscita è un negoziato serio con una garanzia internazionale, che preveda il ritiro dei militari israeliani dalla Palestina. Il governo israeliano deve capire che la politica basata su insediamenti, confische di terreni, arresti a qualsiasi ora del giorno e della notte non funziona più.
Chi può fare da mediatore?
E’ arrivato il momento che l’Unione Europea faccia un serio passo in avanti, facendo sedere attorno a un tavolo palestinesi ed israeliani. L’unica soluzione possibile è quella di due popoli e due Stati, e solo l’Europa può aiutarci a raggiungere questo risultato. Gli Stati Uniti ormai fanno quasi parte del conflitto e quindi non sono più credibili come mediatori. I principali Paesi europei invece sono amici tanto degli israeliani quanto dei palestinesi, e quindi sono gli unici che possono fare qualcosa.
(Pietro Vernizzi)