“Gli attentati in Palestina colpiscono soprattutto per la mancanza di una guida e di un significato politico che li caratterizza. Il rischio più grave è che questo vuoto sia presto riempito: forze estreme come l’Isis possono politicizzare questa Intifada della disperazione per motivi puramente opportunistici”. Lo evidenzia Lucio Caracciolo, direttore di Limes, a proposito di quella che è stata impropriamente chiamata “Intifada dei coltelli”. Nella notte tra giovedì e venerdì alcuni palestinesi hanno incendiato la tomba di Giuseppe a Nablus. Mentre sabato tre palestinesi sono stati uccisi con colpi d’arma da fuoco dopo che avevano tentato di accoltellare degli israeliani in Cisgiordania e Gerusalemme Est.
Come si spiega la devastazione di simboli religiosi come la tomba di Giuseppe a Nablus?
Non è la prima volta che accade, ed è da una parte una manifestazione di fanatismo religioso profondo, dall’altra un modo per farsi pubblicità. Con queste devastazioni si ottengono infatti le prime pagine dei giornali e le aperture dei telegiornali.
Quali scenari apre questa nuova Intifada?
Non so se sia corretto chiamarla Intifada. Le due precedenti Intifade avevano comunque un senso e una guida politica. Oggi non esiste una guida politica ed è dubbio che ci sia un senso politico.
Perché?
Non esiste una guida politica perché l’autorità palestinese è debolissima, e semmai collabora con Israele nella prevenzione della rivolta. Hamas controlla fino a un certo punto la striscia di Gaza ed è stata estromessa largamente dalla Cisgiordania. Quindi si tratta di una rivolta spontanea, spesso di lupi solitari, priva di un orientamento e una guida politica. Una rivolta della disperazione, non della politica.
Fino a che punto le autorità israeliane riescono a controllare quanto sta avvenendo?
Relativamente poco. Il fatto che il governo israeliano non riesca a dare un certo grado di sicurezza alla sua popolazione è un fattore grave, tanto è vero che molti ebrei israeliani si stanno armando.
C’è una contaminazione tra i metodi dell’Isis e quelli dei giovani palestinesi?
No, francamente penso che siano due fenomeni diversi.
Nel momento in cui entrambi colpiscono dei simboli religiosi per farsi pubblicità, ci può essere una somiglianza?
Certamente, e ci può essere una somiglianza anche con gli accoltellamenti. Ma le tecniche a disposizione sono limitate. Se lei intende parlare però di una contaminazione di tipo politico, non credo che questa per il momento si sia realizzata.
Quali sono le responsabilità dei politici palestinesi?
Fondamentalmente il fatto di non esistere. I leader palestinesi sono debolissimi, divisi, non sono riconosciuti in quanto veramente legittimi dalla loro stessa popolazione, che è largamente disillusa e distaccata.
Chi può riempire questo vuoto politico in Palestina?
C’è il rischio che forze estreme possano politicizzare questa Intifada della disperazione. Mi riferisco a gruppi jihadisti, come lo stato islamico o quant’altro. Il fatto è che finora in generale i gruppi qaedisti e lo stato islamico stesso non hanno mostrato una sincera sensibilità per la questione palestinese. Però potrebbero impadronirsene per opportunismo.
Come valuta la politica della Casa Bianca nei confronti della Palestina?
La politica di Obama è stata quella di restare il più lontano possibile dal problema, perché lo ritiene insolubile ed è convinto che non tocchi interessi vitali per gli Stati Uniti. Infatti nel recente discorso all’Onu, dove negli anni precedenti un passaggio rituale sul conflitto israelo-palestinese era scontato, non ha nemmeno accennato il tema.
I candidati democratici alle Primarie seguiranno la stessa linea?
Tra i leader democratici è soltanto Hillary Clinton ad avere una qualche probabilità di essere non solo candidata, ma anche eletta presidente. E’ probabile che qualche differenza con Obama ci sia. Abbiamo ormai visto però mille volte un presidente essere eletto sulla base di una certa agenda, e poi fare politiche del tutto opposte.
(Pietro Vernizzi)