Appuntamento al 22 novembre, quindi, per definire chi sarà il prossimo Presidente dell’Argentina, dato che nessun candidato ha superato il 40% dei voti necessario per vincere le elezioni, rendendosi inevitabile il ricorso al ballottaggio tra Daniel Scioli, rappresentante del kirchnerista Fpv (Frente para la Victoria, partito di Governo) e Mauricio Macri di “Cambiemos”, un fronte che raggruppa gran parte dell’opposizione.
Ma la grande sorpresa, che ha sconvolto tutti i pronostici, è che i due contendenti arriveranno alla data fatidica praticamente alla pari. E che il partito di Governo, il Frente para la Victoria kirchnerista, abbia perso il controllo di molte Province (si votava anche per l’elezione di Governatori), specialmente quella importantissima di Buenos Aires, dove la candidata di Cambiemos, Maria Eugenia Vidal, si è imposta al suo avversario del Fpv, il capo gabinetto Presidenziale Anibal Fernandez, dato per favorito alla vigilia.
Da una prima lettura di questi dati emerge chiaramente come l’elettorato voglia un cambio di conduzione e che quindi l’epopea kirchnerista sia arrivata al capolinea. E quanto la sconfitta sia stata cocente lo dimostra il ritardo con il quale i dati ufficiali sono stati diramati: solo alle 23, ossia dopo ben 5 ore dalla chiusura dei seggi, quando già nei bunker dei vari candidati si festeggiavano vittorie o, come nel caso di quello di Scioli, si facevano discorsi confermando in pratica il ballottaggio o i candidati non si facevano nemmeno vedere, come nel caso di Anibal Fernandez, ammettendo la sconfitta. Segno che dalla Casa Rosada qualcuno faticava a rendersi conto della realtà, perché nel kirchnerismo si pensava di vincere comodamente (così dicevano i primi commenti dal bunker di Scioli) o arrivare al ballottaggio con una maggioranza schiacciante, superiore agli 8 punti.
A questo punto si aprono diversi interrogativi, ma anche una certezza: il movimento peronista, che sempre si presentava compatto alle tornate elettorali attorno a un unico candidato, si è ormai talmente frazionato ed è presente in tutte le coalizioni. Fatto che è conseguenza chiara e netta di 12 anni di un potere oligarchico che non ha mai permesso un confronto, ma si è basato sullo scontro che alla fine lo ha inevitabilmente diviso. Ed è un dato positivo per la semplice ragione che, come successe nella prima tornata elettorale al ritorno della democrazia con Alfonsin, ciò permette al Paese di vivere una Repubblica.
Altro punto cruciale, direttamente collegato a ciò, è stabilire cosa succederà d’ora in poi in vista della prossima tornata elettorale, tra il Frente Renovador, peronista e antikirchnerista, terzo classificato con oltre il 20% dei suffragi, e quello “Cambiemos” di Mauricio Macri. Un accordo appare inevitabile a questo punto, anche perché le differenze tra i due schieramenti non sono mai apparse insormontabili, tanto che non si capisce come mai non sia stato raggiunto prima.
Altro dato importante: l’ultrakirchnerismo è uscito distrutto perché i i movimenti come l’oltranzista “La Campora” hanno disertato il bunker di Scioli, ribadendo una grande frattura interna, per preferire quello convocato da Annibal Fernandez, uscito sconfitto dalle elezioni per la carica di Governatore della Provincia di Buenos Aires.
In ultimo c’è da aggiungere che nell’arco di due anni si sono infranti due sogni della Presidentessa: quello di una “Cristina eterna” con la sconfitta del progetto di legge di riforma della Costituzione e ieri quello del “Vamos por todos” (“Procediamo in nome di tutti”), perché la maggioranza del “suo” popolo (nelle provinciali l’opposizione ha avuto il 39% dei suffragi contro il 35% del Fpv) vuole finalmente identificarsi con una Repubblica, non con un Viceregno come negli ultimi anni.