Da dove nasce il clamoroso errore americano con il bombardamento dell’ospedale di Medici senza frontiere a Kunduz, in Afghanistan, che ieri è costato la vita ad almeno 20 persone? Per rispondere occorre partire un po’ da lontano. L’amministrazione americana teme lo spettro di un fallimento della missione in Afghanistan, cosa che per Washington sarebbe inaccettabile. Non a caso, quando manca poco più di un anno al ritiro delle truppe americane, sia gli Stati Uniti che gli Alleati stanno valutando diverse ipotesi: mantenere l’attuale presenza americana di circa 10mila unità, ridurla leggermente a 8mila unità, oppure dimezzarla.

Avendo in mente la lezione del ritiro delle forze americane dall’Iraq nel 2011, sono in molti a credere che l’esercito iracheno sarebbe stato più capace di fronteggiare l’avanzata dell’Isis se gli Stati Uniti avessero mantenuto almeno alcune migliaia di soldati nel paese.

“Continueremo — ha detto la Casa Bianca — a lavorare a stretto contatto con il presidente Ghani, il governo afghano e i nostri partner internazionali per assicurare che le forze afghane abbiano le capacità e l’addestramento necessario perché non vada perduto ciò che è stato raggiunto sia dagli afghani che dalla comunità internazionale in oltre 13 anni”.

L’ipotesi che possa venire mantenuta una presenza militare americana anche oltre il 2016 sta affiorando ora, dopo che il governo di Kabul da mesi sta premendo su Washington perché resti in Afghanistan. Come scrive il Wall Street Journal, si prevede un dibattito acceso, visto che il presidente Obama ha promesso di ridurre la presenza di militari alla sola difesa dell’ambasciata Usa a Kabul. Tuttavia se la Casa Bianca deciderà per un mantenimento spetterà al successore di Obama decidere quale ne sarà l’entità. 

Dopo la caduta di Kunduz, Kabul ha chiesto aiuto alla Nato (operazione Resolute Support), che — si legge in una nota — “ha condotto un raid aereo per eliminare una minaccia alle forze afghane e della coalizione” a conferma che almeno consiglieri militari alleati sono presenti sul terreno nella zona delle operazioni.

Sempre la Bbc riferisce del supporto diretto fornito dai cacciabombardieri statunitensi alle operazioni: due raid aerei avrebbero impedito ai talebani di conquistare l’aeroporto, roccaforte dell’esercito e base di partenza della controffensiva.

Secondo il sito internet icasualties.org, i soldati stranieri morti quest’anno in Afghanistan sono 11 contro i 75 del 2014 e i quasi 3.500 caduti alleati dal 2001 (2.364 statunitensi).

La caduta di Kunduz è coincisa con il primo anniversario del governo di unità nazionale voluto dal presidente Ashraf Ghani e consente al mullah Akhtar Mansour, successore di Omar, di unificare attorno alla propria figura le diverse componenti del movimento talebano, anche quelle che lo avevano contestato nelle funzioni di capo.

La provincia di Kunduz, che confina con il Tagikistan, è cruciale nella via di transito versi il nord dell’Afghanistan e, se mantenuta, potrebbe offrire ai talebani una base importante per minacciare Kabul da nord e per operazioni estese alle repubbliche ex sovietiche dell’Asia Centrale.

Da dove nasce dunque, torniamo a chiederci, il clamoroso errore americano con il bombardamento dell’ospedale di Msf? Probabilmente dal fatto che gli americani si sono già privati sul terreno di quelle risorse di intelligence che avrebbero consentito loro una condotta più accorta. La filosofia del ritiro di Obama, nata per ragioni di politica interna, mal si sposa con la necessità di condurre operazioni militari in condizioni di sicurezza per la popolazione e gli operatori umanitari specie considerando la tattica dei talebani di mescolarsi ai civili. Non si sbaglia, insomma, quando si schierano forze al gran completo, ma quando manca qualcuno necessario anzi indispensabile. E non bastano satelliti e droni.