Quello che sarà successo in questa notte di guerra a Parigi, altro che terrorismo, lo sapremo tra qualche giorno. Lo sapremo quando si farà la tragica conta dei morti, degli ammazzati in un delirio di odio religioso, di scontro etnico e di civiltà, di sangue che scorre per le strade di una delle capitali occidentali più famose del mondo. Uno dei “cuori” dell’Europa.



Le televisioni di tutto il mondo per ore non hanno volutamente fatto riprese davanti al Bataclan, una famosa sala di spettacoli nell’undicesimo Arrondissement in Avenue Voltaire. Il bilancio parziale di quello che è avvenuto all’interno di questa sala è per il momento di 100 morti, probabilmente ammazzati uno alla volta o a gruppi, con raffiche di mitra.



Questo 2015 francese, parigino, si è aperto con l’eccidio di Charlie Hebdo e, per il momento, si sta chiudendo con la strage di questo maledetto 13 novembre, vigilia di un ipotetico, normale, bel week-end, anche se i gruppi del terrore parlano già al futuro, di 14 novembre. In realtà, tra le 21 e 21 e 30 di ieri sera, una serie di attacchi armati al grido di “Allah è grande” sono partiti da diversi punti della città, almeno da sei punti.

Confusamente si è parlato di almeno due “attacchi suicidi”, uno sicuramente avvenuto davanti allo Stade de France, dove era in corso una grande partita di calcio, Francia-Germania, con decine di migliaia di persone, che hanno dovuto sostare a lungo all’interno dello stadio nel terrore. Poi si è appreso di una bomba collocata in un altro luogo. Ma l’impressione è che fossero tutti spizzichi di notizie, frammentarie, di un piano di attacco a vasto raggio studiato e preparato da giorni e che si diramava in tutto il centro di Parigi.



La drammatica impressione di questo incalzare di notizie, non portava a ragionare su un cinico raffronto delle vittime, ma al significato dell’azione nel suo complesso. E la conclusione che veniva in mente era solo una: il 13 novembre parigino è per l’Europa quello che l’11 settembre 2001 è stato per l’America.

Adesso ascolteremo tutte le analisi e tutte le strategie che si dovrebbero adottare per neutralizzare l’Isis, lo stato islamico, che ha già rivendicato l’azione parigina.

Ma sinceramente, in queste analisi e strategie, che saranno pure necessarie e forse indispensabili, sembra mancare la consapevolezza che “siamo nel mezzo di una guerra crudele”. A dirlo, con convinzione e un pizzico di rabbiosa impotenza è l’ex parlamentare socialista Margherita Boniver, un’esperta di politica estera, una finissima analista di geostrategia.

E’ scontata la risposta terrorista in Europa, nelle capitali europee, dopo l’intensificarsi degli attacchi contro l’Isis in Siria e in Iraq. Ma è probabilmente insufficiente a spiegare complessivamente la strategia del terrorismo islamista, di cui l’Isis è forse solo una parte.

“E nello stesso tempo — spiega Margherita Boiniver — c’è tutta l’inconsistenza, l’inadeguatezza, la povertà politica di questa Europa, di questa politica europea, che in politica estera raggiunge livelli di assurdità”.

Puntuale arriverà la condanna e il ritornello del radicalismo islamista, ma non è forse meglio chiamare questo terrorismo, come fa Margherita Boniver, nazislamismo? Del resto Parigi è sembrata ripiombare, in circostanze diverse, per alcune ore proprio in quel triste periodo.

Chiuse le frontiere francesi, retate a discrezione della polizia, strade deserte o presidiate della polizia, coprifuoco, mentre da tutta la Francia stanno arrivando a Parigi migliaia di uomini dell’esercito.

E’ lo stesso presidente francese Francois Hollande che dice: “C’è paura”. E’ la stessa Francia che appare in ginocchio e che ha già rinviato, a data da destinarsi, una scadenza elettorale regionale.

Ci si chiede legittimamente che cosa accadrà adesso. Si prevedono una raffica di proclami e riunioni. Ma contro questo nazislamismo che cosa si fa? Si rimette in gioco la questione delle alleanze incrociate, dei pasticci in cui ci si fa i dispetti tra una grande potenza e un’altra?

Dovrà pure pensarci anche il presidente Usa, Barack Obama, a una strategia contro questo terrorismo che si è fatto Stato. Dovrà pure ripensare alla sua politica in tutto il Medio oriente, una catastrofe che ha caratterizzato questi ultimi anni.

Certo, mettere “gli scarponi sul terreno” è impopolare e rischioso. Ma quello che sta avvenendo non lascia molto spazio di manovra. C’è forse qualcuno che vuole trattare con il califfo e i suoi soci indiretti? Forse questi sogni può permetterseli la sconnessa politica estera europea, con alcuni suoi strateghi da bar, non può permetterseli una grande potenza come gli Stati Uniti.

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