Il primo ministro francese, Manuel Valls, domenica pomeriggio ha dispiegato 10mila soldati sull’intero territorio nazionale, di cui tra 4 e 5mila nella sola Parigi. Una cifra che va a incrementare i 7mila uomini che sono già stati dispiegati dopo gli attentati alla redazione di Charlie Hebdo del 7 gennaio, quando tre uomini armati uccisero 17 persone. Secondo l’ultimo bollettino gli attentati di venerdì notte hanno provocato 132 vittime. Il presidente François Hollande ha spiegato che intende modificare la legge sullo stato di emergenza per permettere un suo prolungamento fino a un totale di tre mesi. Ne abbiamo parlato con Richard Heuzé, corrispondente dall’Italia del quotidiano francese Le Figaro.



Qual è in questo momento il clima in Francia dopo gli attentati di venerdì notte?

Il Paese è in lutto e il popolo francese segue i suoi leader. Stiamo assistendo a un clima di terrore e alla consapevolezza del fatto che è iniziata un’era che non finirà con questi attentati, ma altri rischiano di seguire. C’è dunque apprensione, timore, cordoglio e solidarietà verso le vittime.



Dopo gli attentati a Charlie Hebdo, perché il terrore è tornato a colpire proprio Parigi?

Quelli contro il Charlie Hebdo e il ristorante kosher erano attacchi molto mirati. Questa volta abbiamo assistito invece a una barbarie indiscriminata contro persone di ogni tipo. Inoltre invece di tre terroristi, questa volta a entrare in azione è stato un commando molto ben allenato. Tra gli assalitori ci sono cittadini belgi e francesi, ma l’azione è stata pianificata in Siria dall’Isis, che a differenza dello scorso 7 gennaio ha rivendicato gli attentati. 

Lei allora disse che gli attentatori del Charlie Hebdo erano solo dei criminali comuni. Ripeterebbe questa affermazione per chi ha colpito venerdì?



No. La quantità di armi ed esplosivi a disposizione di quest’ultimo attentato è impressionante, ed è del tutto nuovo anche che alcuni terroristi si siano immolati come kamikaze: un fatto quest’ultimo che non era mai avvenuto prima in Francia. C’è quindi un salto di livello del terrore, una volontà di aggredire e di provocare una profonda ferita nel vissuto francese. Sicuramente non è il terrorismo della porta accanto, bensì una guerra.

Lei come valuta il modo in cui il governo e la polizia hanno gestito la sicurezza?

Sono stati impeccabili. Una giornalista svizzera che si trovava sul posto mi ha detto di essere rimasta impressionata dalla velocità con cui le forze dell’ordine sono arrivate sul luogo dell’attentato. E’ in atto un ampio dispiegamento di uomini ed è scattato il Piano Alpha, che in Francia non era mai stato messo in atto dalla seconda guerra mondiale in poi.

Perché la polizia non ha capito quanto stava avvenendo?

Nella lista dei sospetti di terrorismo in Francia sono schedati oltre 10mila aspiranti jihadisti. E’ un numero impressionante, ed è impossibile mettere un poliziotto dietro a ciascuno di loro. Questa inoltre è un’azione di guerra preparata dall’estero con un obiettivo molto preciso, e ciò ha reso le cose più difficili per la polizia francese.

Ritiene che il modello di integrazione della Francia stia funzionando?

In Francia si è già fatto molto per l’integrazione. I disagi delle periferie si sono manifestati con gravi disordini nel 2005. Questi problemi in seguito sono stati in parte risolti grazie a piani per l’inserimento degli immigrati. Ci sono stati degli incentivi all’integrazione sia per le famiglie sia per i single. Probabilmente ci sono ancora alcune cose che non funzionano. Il fatto però è che la Francia ha un tasso elevatissimo di popolazione immigrata, pari al 17 per cento.

 

Quali conseguenze produce questo tasso così elevato?

Nelle scuole delle periferie alcune classi sono composte interamente da stranieri, di cui la metà non parla nemmeno bene il francese. Ciò determina dei grandi problemi sociali, ma non dobbiamo pensare per questo che le banlieue siano dei serbatoi di terroristi. Per combattere il terrorismo le moschee devono essere controllate e si deve lottare contro il proselitismo nelle carceri. Il disagio sociale però non è sinonimo di terrorismo. Il terrorista è una persona che ha subìto un reclutamento, un indottrinamento specifico da parte di persone che non hanno nulla a che fare con la società francese. Molti imam per esempio non parlano il francese ma solo l’arabo.

 

Parlando al G20 Obama ha lodato gli sforzi di Putin in Siria. Perché Usa e Russia sono passati dall’ostilità a un’esplicita comunanza di intenti?

Dopo gli attentati di Parigi il clima internazionale è cambiato. Obama si rende conto che in Siria non si può fare nulla senza un’intesa con la Russia. Il problema adesso è che fare di Assad. Putin finora lo ha difeso con fermezza, impedendo qualsiasi tipo di rovesciamento del dittatore. Il realismo politico che prevale negli ambienti internazionali e sulla scena diplomatica fa sì però che ci si renda conto che è inutile insistere su uno scontro anziché sulla ricerca delle soluzioni. Senza un’intesa è impossibile mettere in atto un piano congiunto contro il terrorismo.

 

Ritiene che sia cambiato anche l’atteggiamento di Putin?

Sì, le 144 vittime dell’aereo caduto nel Sinai hanno suscitato grande commozione nell’opinione pubblica russa. E’ stato un duro colpo per Putin, che oggi cerca degli appoggi per condurre una guerra globale al terrorismo. Obama d’altra parte ha bisogno di una grande alleanza contro lo stesso terrorismo. Sta quindi prevalendo il realismo politico che consentirà forse alle due potenze di dialogare e trovare delle soluzioni per risolvere la questione siriana.

 

(Pietro Vernizzi)

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