“Erano incredibilmente calmi, sembravano degli zombie”. Così alcuni dei sopravvissuti alla strage del Bataclan hanno descritto i killer dell’Isis mentre massacravano gli spettatori.
C’è un video che gira sulla rete da qualche tempo che mostra un kamikaze siriano che entra in un veicolo piangendo a dirotto. Dovrà lanciarsi contro una qualche struttura, probabilmente dell’esercito regolare siriano, con il mezzo carico di esplosivo e farsi saltare in aria. Mentre è lì seduto continua a piangere, è sconvolto, terrorizzato per la morte orribile che lo attende.
Abbiamo sempre letto che i terroristi islamici, dall’attentato dell’11 settembre 2001 a oggi, sono mossi da una fede cieca e totale in quello che stanno facendo. A parte la solita battuta sulle 72 vergini che attenderebbero i kamikaze nel paradiso islamico come ricompensa per quello che stanno per fare, secondo quanto dicono loro stessi, è la fede smisurata per il loro Dio che li rende coraggiosi fino a farsi uccidere. Il gesto più grande, il massimo a cui si può aspirare, secondo questa visione distorta dell’islam.
E’ risaputo che i combattenti dell’Isis in Iraq e Siria fanno uso di potenti droghe per darsi la forza per combattere, spesso buttandosi allo sbaraglio come carne da cannone. Ne ha parlato anche il quotidiano francese Libération: “I jihadisti del gruppo stato islamico e del Fronte al Nusra usano il Captagon, o fenitillina, per inibire la paura durante le loro azioni”. Il Captagon viene prodotto con la fenitillina, una molecola anfetaminica che viene mischiata con la caffeina e questo tipo di pillole è prodotto per la gran parte in Siria e in Libano e poi esportato in Europa.
Un recente ritrovamento di documenti dell’esercito nazista ha provato che le truppe di Hitler erano rifornite su base giornaliera di potenti stimolanti simili all’anfetamina che li rendeva in grado di combattere senza dormire per anche trenta ore consecutive con la forza di un autonoma. Era il Pervitin che venne soprannominato “il cioccolato del carrarmato”. Ma nel caso dei nazisti e dei combattenti dell’Isis stiamo parlando di una specie di Robocop resi tali per essere più efficienti sui campi di battaglia.
Nella stanza di albergo che alcuni degli attentatori di Parigi hanno frequentato in quei giorni della scorsa settimana invece sono state trovate siringhe e lacci emostatici, l’occorrente di qualunque eroinomane. Imbottiti di eroina o qualche altro stupefacente. Si spiegherebbe così la strana calma che gli spettatori del Bataclan hanno riscontrato quel venerdì notte.
Anche queste persone che ammazzano facendosi ammazzare hanno sostanzialmente paura di morire, nonostante i loro proclami di fede incrollabile nel gesto che stanno per fare.
Definiti mostri, bestie, inumani e quant’altro, hanno paura di morire come tutti. Diventano mostri disumani quando soffocano con l’ideologia ma anche con la droga artificiale l’anelito di vita che seppur minimo è rimasto in loro. Potrebbe anche essere che sono consapevoli dell’orrore che stanno per causare a persone innocenti, che un lumicino di umanità, grande come il millimetro di un’unghia, sia rimasto dentro di loro. Devono perciò stordirsi per agire senza remore. Secondo diversi esperti, anche i boia dell’Isis fanno abbondante uso di Captagon o comunque di droga: dai video si deduce che presentano i tratti tipici di chi abusa di anfetamine.
Ma anche il fatto che debbano drogarsi per uccidere se stessi dimostrerebbe la menzogna della loro autosicurezza e dei loro proclami, e dimostrerebbe soprattutto che l’essere umano non è fatto per la morte nonostante loro cerchino di autoconvincersi che è così. Che la vita è più forte e più interessante della morte e che tutti, anche i kamikaze, hanno paura di quest’ultima. Uno dei terroristi di Parigi, ha raccontato il fratello, era cresciuto in una famiglia normale, giocando a pallone nel campo da calcio vicino a casa come fanno tutti i ragazzi. Forse un’immagine, un flash di quei momenti felici deve essergli passato per la mente prima di andare a uccidere e a uccidersi. Poi si è stordito di droga e ha dimenticato.
Forse è a questo livello che bisognerebbe operare sui giovani, gli studenti islamici che vivono in occidente, nelle moschee, per spezzare questa catena di morte. “Noi amiamo la morte per causa di Allah, tanto quanto voi amate la vita” aveva detto il portavoce di bin Laden dopo l’11 settembre. “Voi amate la vita e noi amiamo la morte” ripetè dopo le stragi di Madrid del 2004.
I cristiani perseguitati e sgozzati in Siria e Iraq non prendono alcuna droga. Anche per loro esiste il martirio, ma i martiri cristiani non hanno mai cercato la morte di se stessi e degli altri, il martire che dà la vita per Allah se la impone e vuole distruggere anche la vita del prossimo. Il martirio dei cristiani iracheni che si lasciano ammazzare per non abiurare la loro fede è quello di chi dà la vita non per una causa, ma per amore di ciò che è la loro consistenza, un Altro. Il martire dell’Isis ha bisogno di potenziare artificialmente il suo credo, di sostenere con qualcosa l’adesione alla causa, altrimenti non ce la farebbe. Che strano dono il privilegio di Allah, se ha bisogno della chimica. Anche Gesù sulla croce ebbe paura di morire: “se possibile, allontana da me questo calice” disse. Ma per amore degli uomini ha accettato di morire. E’ questa la differenza.
I kamikaze e i combattenti dell’Isis hanno una paura folle di morire. Smascherare davanti ai giovani islamici la menzogna del loro falso coraggio sarebbe già qualcosa.