Il Presidente francese Francois Hollande ripete ancora, nella mattinata di ieri, la parola guerra, la “Francia è in guerra”, come quando si è presentato in modo marziale nell’antica sede del Parlamento di Versailles. La portaerei Charles De Gaulle è partita per il Mediterraneo orientale, gli aerei francesi continuano a bombardare Raqqa, la capitale del Califfato, insieme ai russi di Vladimir Putin. Secondo le notizie di agenzia, 33 miliziani dell’Isis sarebbero morti nel corso degli ultimi raid. Calcoli problematici e non certo risolutivi di un problema immane. “E’ ancora Parigi il centro dello scenario di guerra. Nella notte tra martedì e mercoledì, alla periferia nord, a St. Denis, le “teste di cuoio” francesi hanno fatto irruzione in un covo di jihadisti, di ‘lupi solitari’, di ‘cellule dormienti’, di aderenti allo Stato Islamico, chiamateli come volete, per un’operazione di polizia drammatica.
In questo modo, Parigi che cercava di risvegliarsi con la voglia di riprendere una vita normale, ha dovuto fare i conti con un altro episodio di guerra, portato direttamente all’interno della città, che è la vera capitale dell’Europa. Tornare a vivere nella normalità è un dovere, non cedere al terrore è essenziale in questo momento. Ma sconfiggere la paura, ritornare alla normalità vera non è umanamente possibile.
Tanto più che il gruppo scoperto a St Denis, tra cui una donna che si è suicidata secondo il modo dei kamikaze islamici, era pronto a mettersi in azione per altri attentati nel cuore di Parigi, forse nel giro di poche ore. Se si fa un bilancio, breve e stringato, delle ultime azioni dell’Isis c’è da rabbrividire. L’attentato di Beirut, che in Europa non ha fatto notizia; l’aereo russo esploso per una bomba collocata a bordo, pieno di turisti che ritornavano da una vacanza in Egitto a Shrarm el Sheik.
Citiamo solo gli episodi più tragicamente rilevanti prima dell’attacco a Parigi e all’Europa, a partire dalla notte del 13 novembre. Perché di questo si tratta: di un’autentica azione militare, di un attacco che aveva come centro delle operazioni Parigi, ma che partiva da più punti, con una grande coordinazione e doveva allargarsi ad altre zone dell’Europa.
Martedì sera sono finiti sotto tiro di nuovo gli stadi di calcio. Non si è giocata una partita internazionale a Bruxelles, in Belgio, e ad Hannover, in Germania, dove era attesa anche la Cancelliera Angela Merkel. Immaginiamoci quindi che cosa sarebbe avvenuto se il gruppo scoperto a St. Denis avesse provocato un’altra ondata di attentati e di assalti per le strade e nei locali di Parigi. A questo punto, persino “l’esperto fiscale” Jean Claude Junker, il Presidente della Commissione europea, è stato autorizzato a dire: “Fuori dal patto di stabilità le spese per le misure antiterrorismo”. Insomma c’è voluta l’escalation guerrigliera e criminale dell’Isis per far saltare persino i parametri da rispettare e la celebre politica di austerità, che ha mandato fuori dai gangheri gli americani da diverso tempo.
Forse è stato lo stesso Hollande, con qualche telefonata di “fuoco” e anche con qualche dichiarazione esplicita, a convincere gli europei a consentire una cosiddetta flessibilità un po’ speciale. Ma in questo quadro allarmante, di paura e di grande incertezza, c’è questo rebus da risolvere: siamo in guerra, ma tranne che in Francia e in alcuni ambienti, la parola guerra non si può pronunciare. Hollande invoca l’articolo 42 del Trattato europeo dove si prevede che il partner aggredito venga soccorso da tutti gli altri. Ma certamente si rifà anche all’articolo 5 della Nato, l’Alleanza atlantica, che prevede l’aiuto esplicito, militare, degli alleati verso il Paese aggredito.
Eppure, in questa grande Europa dai valori universali, ma dall’“identità smarrita”, si gioca a “fare gli indiani”. Federica Mogherini, rappresentante degli Affari esteri della Comunità ha risposto di sì alle richieste di aiuto di Hollande. Di fatto, ci sarà collaborazione economica, di “intelligence” (speriamo!), ma per carità non parliamo di azioni militari comuni di qualsiasi tipo. Gli altri Paesi hanno sinora girato intorno al problema, compreso il nostro Matteo Renzi: “No a leggi speciali, né isteria né sottovalutazione”.
Scantonare è la parola d’ordine che va di moda in questo momento. E non c’è solo una piccola speranza di farla franca in modo indolore, c’è soprattutto una miopia politica assoluta da parte di tutta l’Europa in primo piano e poi dell’alleato atlantico per antonomasia, gli Stati Uniti e degli altri alleati del cosiddetto campo occidentale. Se Barack Obama ha fatto errori imperdonabili in Medio Oriente, ereditando inoltre errori del passato, l’Europa, per ribadire la sua “famosa coesione”, al contrario, ha alcuni Stati che fanno una loro guerra particolare.
Il Presidente Hollande è andato a bombardare Raqqa forse neppure telefonando ai rappresentanti dei suoi “connazionali” europei. Forse la sua azione era più giustificata, nel dolore e nella rabbia, di quella che fece il suo predecessore Nicolas Sarkozy, quando mandò gli arei sulla Libia, scassando quasi tutto l’equilibrio politico già precario che esisteva nel Magreb. Ma sembra una costante francese quella di decidere da soli, senza consultare nessuno.
La Germania pasticcia e si defila sempre in queste circostanze. Media, ma poi irrita Vladimir Putin, probabilmente antipatico e con amici imbarazzanti, ma certamente il più lucido di tutti nel giudicare l’Isis fin dalla sua nascita. La signora Angela Merkel, che passa per una grande statista del nostro tempo, non fa nulla per decidersi, convincendo anche gli altri (dato che rappresenta la Germania), a ritirare le sanzioni contro la Russia, che dovrebbe essere un’alleata decisiva nella guerra all’Isis.
La stessa Gran Bretagna, vicina alla Francia sentimentalmente in questa circostanza, è ben diversa da quella di Tony Blair alla vigilia delle “guerre del Golfo”, anche se poi quelle guerra si rivelarono sbagliate. In definitiva, l’Europa è quella che è. Soprattutto quella che appare ai suoi avversari e non ha neppure il pudore di tentare di ricucire le sue profonde divisioni.
L’Europa ha l’immagine di una grande finzione, così come è apparsa in questi anni. Un insieme di interessi finanziari, un “cane da guardia” per banche e conti, più che per interessi economici. In sostanza una serie di Stati in fila sparsa. anche se con una bandiera comune e una tecnocrazia demenziale in alcuni casi. Non è migliore comunque la situazione internazionale, anche quella al di fuori dell’Europa.
Si è detto degli Stati Uniti, incapaci di delineare un nuovo equilibrio globale. Compito troppo complicato nello “spirito del mondo”, in un periodo come questo, con una classe politica a livello mondiale che non riesce a vedere al di là del suo naso e si affida al “fiuto” dei finanzieri. Al momento, l’unica, la vera a speranza è che ci sia un nuovo disgelo con il “vecchio nemico” russo da parte americana.
Nel calderone di questa particolarissima guerra, tra i cosiddetti alleati occidentali, c’è il gioco dei turchi, che preferiscono bombardare i Curdi piuttosto che l’Isis. Del resto, i Curdi, sono per i turchi, dei “turchi di montagna”, quindi non un popolo. Poi c’è la inquietante presenza e ambiguità dell’Arabia Saudita, che ha l’impudenza di “condannare il terrorismo”, dopo aver foraggiato ampiamente, indirettamente o direttamente, l’Isis, ricercando una posizione preminente nella zona in contrasto perenne con l’Iran. Sull’Arabia Saudita si potrebbe aprire un discorso di finanziamenti che riguardano anche diversi presidenti degli Stati Uniti, sia democratici che repubblicani.
A questo punto inutile dilungarci sul “grande dibattito” della parola guerra. Inutile invocare unità e coesione, che non ci saranno mai in un Occidente dove prevale l’interesse individuale, paradossalmente portato anche a livello di Stato, piuttosto che l’identità di una grande storia, di una grande civiltà da difendere e rivendicare con orgoglio. Dovrebbe essere questo il grande compito degli occidentali, se hanno ancora un’anima da occidentali.