Il 22 novembre sarà probabilmente un giorno storico per l’Argentina, perché, nonostante i sondaggi diano per sicuro vincente Mauricio Macri del fronte “Cambiemos”, anche nel caso di una vittoria del suo oppositore, il candidato del governativo Fpv (Frente para la victoria), una cosa è certa fin da ora: il kirchnerismo appartiene al passato.
Può sembrare una contraddizione, ma chi ha remato contro e si può dire abbia ostacolato al massimo proprio il suo candidato è stata la Presidente Cristina Fernandez de Kirchner e tutto il suo entourage per molte semplici ragioni. In primis, la scelta è caduta sull’ex Governatore della Provincia di Buenos Aires perché è parso subito chiaro come il kirchnerismo ortodosso non disponesse di un candidato forte, dato non solo il potere assoluto di Cristina Kirchner ma anche nei numeri, in grado di vincere: Scioli garantiva molti voti del peronismo “classico”, o almeno così si pensava, perché il sorprendente risultato elettorale del 25 ottobre ha visto il fronte peronista spaccarsi e presentarsi accanto ai tre maggiori candidati, risultato dovuto all’assolutismo kirchnerista.
La mancata vittoria totale e il ricorso al ballottaggio ha ancor più diviso il fronte e al sempre ossequiente Scioli (ma questa è una sua caratteristica politica da sempre) è stata imposta una campagna politica basata sulla paura da immettere agli elettori, rievocando spettri del neoliberalismo degli anni ’90 (che però videro lo stesso candidato e i Kirchner come i più accaniti sostenitori del menemismo peronista che lo istallò) e allertando sulla sparizione di sussidi, pensioni, impieghi statali in caso di vittoria di Macri.
Tuttavia, invece di sostenerlo, il fronte lo ha aspramente criticato per non aver impersonato il dispotismo kirchnerista e essersi dichiarato aperto al dialogo con le altre forze politiche. Si arriva all’assurdo che si preferisca l’harakiri elettorale a un’apertura verso una trasformazione repubblicana che la maggior parte dell’elettorato e il Paese necessita.
Il kirchnerismo ha però in seno un altro piano per tornare a occupare il potere. Ed è la vecchia tattica peronista di impedire ad altre coalizioni di governare attraverso un’accelerazione della distruzione dell’economia, assunzioni massicce nell’apparato statale, nomina di giudici consenzienti che permettano il controllo della giustizia negli scandali del potere.
E a dimostrazione di ciò c’è da rilevare la manovra della Banca centrale di immettere sul mercato 25.000 milioni di dollari a futuro con un cambio di soli 10 pesos a partire dal prossimo marzo. Un vero e proprio furto che priverà ancor di più la maggiore entità finanziaria dello Stato di liquidi, creando una situazione di instabilità economica.
L’elettorato è chiamato una volta per tutte a scegliere il proprio futuro e quello di una nazione in eterna attesa di un cambiamento che mai come adesso appare possibile, anche se ciò dovesse costare sacrifici che in molti sono disposti a sostenere pur di poter vivere una stagione di libertà e di sviluppo economico reale.