Mentre il mondo va in fiamme suscita un certo stupore leggere su una delle più importanti riviste del mondo, ossia sulla New York Review of Books nel numero del 5 novembre-10 novembre e nel numero 19 novembre-2 dicembre 2015, le due puntate di una lunga conversazione del presidente Obama con Marilynne Robinson, vincitrice del Pulitzer e autrice della cosiddetta “Gilead Trilogy” e soprattutto di The Givenness of Things: Essays che il Chicago Sun Times ha definito “una nuova squisita collezione di saggi che esamina la società moderna e i misteri della fede”.
Che un presidente degli Stati Uniti discuta di Givenness, ovvero di datità dell’essere, un tema che aveva già impegnato Heidegger per tutta la sua vita, riflettendo sul Dasein, può anche farci piacere e nello stesso tempo stupirci, tanto più che nella raccolta di saggi, di cui si discute su luminose meteore come Bonhoeffer, per esempio, e inquietanti riformatori come Calvino, Obama, nella Biblioteca dello Iowa, impegna tutto se stesso. E sottolinea proprio ciò che l’autrice americana, congregazionista convinta, sostiene con così rara efficacia d’aver recentemente suscitato l’ammirazione dell’Arcivescovo di Canterbury per l’importanza che assumono le sue parole di fede.
Naturalmente, di fede, oggi, c’è molto bisogno. Ma dovremo chiederci due cose: in primo luogo, di quale fede; e poi quale sia il senso che l’uomo, che è certo considerato il più potente del mondo, con queste conversazioni, al mondo medesimo vuole trasmettere. Perché non c’è nulla da fare: se un presidente degli Stati Uniti parla, o pubblica, le sue parole, che lo voglia o no, sono rivolte al mondo.
In queste due lunghe conversazioni, dove si parla dell’importanza dell’essere umano in se stesso e non come “cosa”, dell’importanza della fede senza definirne l’ontologia, ebbene nelle lunghe pagine di questa conversazione non vi è una parola sul mondo e sulle angosce che lo pervadono. Obama pensa ai suoi cittadini che vorrebbe più consapevoli della loro “datità”, più “fedeli” e “fiduciosi” e più “americani”, con quell’elogio profondo che fa ai Padri fondatori dell’America e al fatto che attorno al loro mito si stiano raccogliendo anche i “nuovi” americani, in primo luogo i cosiddetti latinos.
Confesso che sono rimasto stupefatto, perché queste conversazioni sono l’epifenomeno cangiante del ritiro degli Usa dal mondo, o meglio, del ritiro di Obama, e del suo desk office, dal mondo in fiamme. La sola parte del globo da cui sinora non ci si ritira, come ho già ricordato diverse volte, è il fronte asiatico e in primis quello del Mare del sud della Cina, dove gli Stati Uniti continuano a contrastare, isolotto per isolotto, miglio per miglio, l’aggressività militare dell’armata navale cinese e a tessere, come stanno facendo per esempio con la Malesia e con Myanmar, una nuova fitta rete di rapporti, pur tra le mille difficoltà di quelle democrazie o appena inveratesi, o difficilmente consolidatesi, oppure mai raggiunte in quella parte del mondo.
Ma rispetto a quello che capita in Europa, dopo i terribili attentati franco-belgi, perché così dobbiamo chiamarli, anche se il sangue è stato versato nel cuore dell’Europa, che continua a essere la Francia, assieme alla Germania, ebbene in quell’area del mondo la presenza militare americana, e soprattutto culturale, è del tutto assente. Questo fatto è ancora più grave perché dimostra una tesi che io ho da molto tempo sostenuto solitariamente, ossia che l’Europa, come entità politico-spirituale, senza l’ala anglosassone, degli Usa e dell’Uk, e senza la Russia, non avrebbe mai potuto continuare a esistere. Oggi sta capitando esattamente questo.
Una delle tante prove? Il rifiuto della Francia di richiedere l’aiuto della Nato, anziché dell’Onu nella lotta al terrorismo che di fatto sta conducendo in forma solitaria. Che questo sia vero lo si vede nel dibattito in corso tra le elites politico-militari francesi, che si interrogano se sia meglio continuare a mantenere una presenza massiccia nel Sahel, oppure spostare gran parte del peso militare in Siria. La soluzione l’hanno data i fatti, con la creazione di un’asse russo-francese in Siria, sostenuta dalla presenza militare sul terreno degli iraniani, che si sta sempre più cementando senza bisogno di parate, trattati, negoziati, eccetera.
Del resto gli Stati Uniti, andandosene dall’Europa e dal Mediterraneo, hanno lasciato dietro di loro due nuove realtà. La prima è l’inserzione dell’Iran nel concerto delle nazioni, con tutta la sua potenza di stato-guida, di élites rivoluzionarie e raffinatissime come le milizie sciite. La seconda è la crisi dell’Arabia Saudita, che è molto più profonda e pericolosa di quanto non appaia ai più. La regola di successione al trono, tramite la gerarchia tra fratelli anziani, sta crollando e sta venendo sostituita da quella della primogenitura del sovrano oggi in carica, con un effetto domino sul sistema di potere che sarà devastante. Così come devastante sarà il fallimento della politica petrolifera saudita che è stata sconfitta dalla tecnologia e dalla finanza non bancaria statunitense che stanno castrando l’arroganza saudita di far la guerra allo shale gas e al tight oil nordamericano, fondata sulla produzione a manetta e sulla conseguente diminuzione di prezzo.
La crisi fiscale dello stato saudita incombe e avrà effetti destabilizzanti dal Corno d’Africa alla Turchia. Quest’ultima verrà destabilizzata nel suo disegno anticurdo e filo-Isis, mentre l’Egitto, che ha recentemente conseguito l’autonomia energetica grazie alla grande scoperta dell’Eni nelle sue acque, si ergerà quale potenza dominante anti-saudita nell’area, unitamente alla straordinaria fermezza e solidità della benefica dittatura algerina, uno dei capisaldi della regione. E sarà la saldatura tra questi due capisaldi, l’Egitto e l’Algeria, che porterà, lo si voglia o no, con la pace o con la guerra, alla stabilizzazione libica. Non sempre le armi possono sostituire i negoziati, ma sicuramente sempre possono e debbono sostenerli.
L’Europa assiste a tutto questo enorme cambiamento, inerme e immota. Eppure è un cambiamento di se stessa. Centinaia di migliaia di anime bussano alle sue porte. E finalmente la verità, che in pochi abbiamo predicato, ossia che i poteri tecnocratici non possono sostituirsi ai popoli, soprattutto se sono le tecnocrazie dei banchieri e degli esattori delle tasse, emerge in tutta evidenza. E la situazione è così pericolosa che anche le strutture che sono di norma le più intelligenti degli apparati statali, ossia le coorti dello spionaggio e controspionaggio militare e civile, che per non spaventare i bambini e la sinistra radical chic chiamiamo intelligence, sono state messe in scacco da coloro che pensano di combattere quelle tecnocrazie con il nazionalismo, chiudendo le frontiere.
Questo è stato un grave errore: anche chi studia l’intelligence per corrispondenza, o legge le Carré, sa infatti che sono i controlli accurati con le frontiere aperte che consentono di cogliere i pesci nella rete. Frontiere chiuse, niente pesci, e quindi niente pesca, e quindi i terroristi passano per sentieri sicuri, e possono essere tanto i sentieri di montagna quanto gli aeroporti (l’esplosione dell’aereo russo, partito da uno scalo egiziano, docet).
Insomma, l’Europa si sta sciogliendo come neve al sole. Eppure la Bce, i commissari, i direttori di dipartimento, continuano a occuparsi di debiti, di Unione bancaria come se niente fosse. Eppure Hollande, con il suo impegno militare e le sue decisioni assunte in merito, ha già mandato in frantumi ogni Fiscal compact e tutti gli altri stati seguiranno a catena.
Confesso che in questa situazione la signora Merkel mi fa una gran pena e al contempo suscita tutta la mia ammirazione. Al recente congresso della Csu, dove si invocavano le barbariche misure di chiusura delle frontiere, ha difeso invece le posizioni opposte, basate sulla ragionevolezza e sull’umanità, e dopo pochi minuti ha preferito andarsene che ascoltare rancorosi discorsi. E per questo dobbiamo ammirarla tutti. La cristiana pietà deriva dal fatto che non riuscirà mai a comprendere che il suo ordoliberalismus, becero quanto diabolico, ha scatenato la crisi economica europea e il sonno della ragione che ne è derivato. E il sonno della ragione genera mostri, sia nello Iowa, sia nel Mediterraneo.