“L’abbattimento del jet russo può avere due significati molto diversi tra loro. Da un lato può essere letto come un’azione premeditata di Erdogan che mostra i muscoli perché vuole che la Turchia continui a essere la principale potenza del Medio Oriente. Dall’altra può essere una reazione dei militari turchi al bombardamento dei traffici di petrolio con l’Isis da parte della Russia, che garantivano loro ingenti proventi in nero”. A spiegarlo è Carlo Pelanda, professore di politica ed economia internazionale nell’Università della Georgia di Athens (Usa). Ieri il pilota russo sopravvissuto, liberato grazie a un blitz, ha spiegato in un’intervista che la Turchia non aveva fornito alcun avvertimento prima di premere il grilletto. Il militare ha anche aggiunto che gli F-16 in dotazione alla Turchia sono molto più veloci dei bombardieri SU-24 russi. Se anche fosse avvenuto uno sconfinamento sarebbe bastato quindi affiancare il jet con gli F-16 e “accompagnarlo” fuori dallo spazio aereo turco.



Professore, perché la Turchia ha deciso di abbattere l’aereo russo? Ci sono due letture di quanto è avvenuto. La prima ipotesi è che quella turca non sia stata una risposta sistemica per ragioni strategiche, bensì soltanto una mossa tattica. I russi nei giorni scorsi avevano bombardato il circuito del petrolio che raggiunge la Turchia dallo stato islamico. Dieci chilometri di autobotti sono stati fatti saltare dagli aerei di Putin.



Questo che cosa c’entra con l’abbattimento del jet? I proventi di questi traffici di petrolio vanno ai militari turchi. Un’ipotesi è che l’abbattimento sia stato deciso autonomamente dai militari, e che lo stesso governo di Ankara non sia riuscito a controllarlo. Se le cose stanno in questi termini, alla fine Turchia e Russia si chiederanno scusa e si rimetteranno d’accordo.

E se invece l’azione fosse stata premeditata al più alto livello? In questo caso la situazione è più grave, perché significa che la Turchia ha voluto dare un segnale politico per dire: “Noi ci siamo sul serio”. Ha colpito un jet russo in modo che anche altri la ascoltino. La Turchia punta a essere la principale potenza in Medio Oriente, e non accetta che l’Iran ambisca a sua volta a questo ruolo.



Obama ha detto: “La Turchia ha diritto a difendersi”. Come legge questa affermazione? Quello che si dice nelle cancellerie internazionali è che l’azione della Turchia è stata cinica e ottusa. Ankara però è un alleato della Nato, e dunque Obama ha dovuto dire qualcosa per giustificarlo. Ma ha anche aggiunto: “Speriamo che non ci sia un’escalation”. La reazione di Obama comunque è dilettantesca ed esprime più imbarazzo che altro. Questa non è ancora la posizione ufficiale degli Stati Uniti, ma solo un commento a caldo.

Putin esce sconfitto dall’abbattimento del jet o ha dei margini di iniziativa? La Russia ha un grosso problema, perché non può farsi abbattere un aereo senza reagire. Ora è difficile prevedere le conseguenze. Putin comunque ha molti margini di iniziativa. Lo stesso abbattimento del jet crea un alone di simpatia per la Russia e una grande antipatia per la Turchia.

Che cosa potrebbe fare ora il Cremlino?

La Russia potrebbe reagire iniziando a finanziare i curdi in funzione anti-turca. Di certo non potrà continuare i lavori per la costruzione della centrale nucleare turca né i negoziati per la realizzazione dei gasdotti. E’ quindi in atto una frizione russo-turca non trascurabile. A risaltare è soprattutto il nervosismo dei turchi, che hanno compiuto un’azione da dilettanti. Ankara si è sentita fuori dal gioco e ha voluto farsi sentire, ma ha scelto di farlo nel modo più stupido possibile.

 

Mosca ha chiuso i rubinetti del gas all’Ucraina. E’ una reazione all’abbattimento del jet?

No, non c’entra nulla. Nell’Est Europa la Russia sta usando il bastone e la carota. Da un lato si ritira dall’Ucraina e riduce la pressione a ovest, a condizione che sia riconosciuta la Crimea e che l’Ucraina stessa sia considerata uno Stato cuscinetto tra Nato e Federazione Russa. Mosca dirà sì all’accordo di libero scambio, purché Ucraina e Ue passino prima attraverso il Cremlino. Si tratta di normali relazioni politiche tra amici, l’Ucraina non rappresenta un grosso problema.

 

Torniamo al Medio Oriente. Per battere l’Isis bisogna tagliare fuori l’Arabia Saudita?

No. Per battere l’Isis bisogna sterminare il nucleo del califfato, circa 5mila persone, oltre a 15mila combattenti esteri e 5mila ex baathisti di Saddam Hussein. A quel punto bisogna permettere ai sauditi di rimpiazzarli con persone più moderate.

 

Che cosa vuole l’Arabia Saudita?

L’Arabia Saudita vuole soltanto una cosa: la formazione di uno Stato sunnita che impedisca la contiguità territoriale tra Iran ed Hezbollah libanese. E’ chiaro che il califfato è espressione di Arabia Saudita, monarchie del Golfo e in parte della stessa Giordania. E’ in atto una guerra tra sunniti e sciiti rispetto a cui bisogna trovare un compromesso. L’unica soluzione possibile è che i russi consentano alla famiglia Assad di tenersi una parte della Siria. In cambio si accetta la formazione di uno Stato sunnita sotto la tutela di Arabia Saudita e Giordania.

 

(Pietro Vernizzi)