“L’obiettivo di Putin è sradicare i jihadisti per mettere al sicuro la Russia dalla minaccia terroristica. Per farlo ha in mente in primo luogo di fermare l’offensiva dei ribelli ‘laici’, così da costringerli ad accettare i negoziati che rappresenteranno la seconda fase del piano. Quindi arriverà la terza fase: spazzare via completamente l’Isis da Siria e Iraq”. E’ la strategia in tre fasi del presidente russo Vladimir Putin svelata da Ammar Waqqaf, attivista siriano residente a Londra, commentatore di Bbc, Al Jazeera e del canale satellitare Russia Today. Fin dal 2011 Waqqaf si è opposto al sostegno occidentale ai ribelli siriani. Di recente i giornali italiani hanno citato un articolo del giornale saudita al-Sharq al-Awsat, che ha pubblicato un piano in nove punti per la Siria attribuito al presidente russo Putin. Nella strategia ci sarebbero il congelamento dei fronti di guerra tra lealisti e ribelli e l’avvio di una transizione pacifica che preveda la rimozione di Assad.



Ritiene che il piano di Putin sia quello pubblicato da al-Sharq al-Awsat?

L’articolo di al-Sharq al-Awsat non espone la soluzione russa bensì quella saudita. L’obiettivo è fare sapere ai russi che questo è ciò che i sauditi accetterebbero sul tavolo dei negoziati, anche se la notizia è presentata come una sorta di Wikileaks di fonti d’intelligence russe. Ma l’articolo è stato pubblicato prima del terzo incontro ai colloqui di Vienna, e non ha suscitato alcuna reazione da parte della diplomazia russa.



Qual è dunque il vero piano della Russia in Siria?

Nei dettagli il piano non è ancora chiaro. In generale, se il governo siriano dovesse collassare, Mosca teme che si ripeta quanto è avvenuto in Libia. Senza un forte governo centrale ci sarebbe un prevalere delle fazioni più forti: al Qaeda e l’Isis. La Russia vuole disinnescare la minaccia terroristica islamista affrontandola direttamente con i raid aerei e aiutando il governo siriano a stare in piedi.

Putin è pronto a rimuovere Assad dal potere?

Per la Russia la vera questione non riguarda la persona del presidente Assad, ma chi sia in grado di guidare al meglio un governo unito a Damasco. In questo momento Mosca è convinta del fatto che non ci siano alternative al presidente Assad: qualsiasi altra persona non sarebbe in grado di mantenere la stessa coesione. Se in futuro qualcun altro fosse identificato come una figura con queste caratteristiche, la Russia sarà disponibile a trovare un compromesso.



La Russia è alla ricerca di una soluzione pacifica o sta difendendo solo i suoi interessi?

La principale preoccupazione della Russia è tenere lontana la minaccia terroristica dai suoi confini. Putin è convinto del fatto che se il suo intervento riuscirà a dimostrare ai ribelli che la loro campagna contro il governo di Damasco è inutile, in quanto non è in grado di fare cadere il presidente, questo li convincerà ad accettare i negoziati. Mosca vuole costringere i militanti a passare dall’offensiva alla necessità di difendere i loro stessi territori.

In questo modo che cosa pensa di ottenere?

Putin vuole mostrare ai ribelli che il governo di Assad non sembra destinato a cadere in breve tempo. In questo modo la Russia spera che, a differenza dei gruppi legati ad Al Qaeda, l’Esercito Siriano Libero si renda conto che la sua campagna militare non è destinata ad avere successo nonostante il sostegno di Arabia Saudita e Stati Uniti. Vuole dunque convincere lo stesso Esercito Siriano Libero a partecipare ai negoziati.

 

Secondo alcuni analisti Putin vuole difendere solo la parte di Siria che più gli interessa, come è avvenuto con la Crimea nel conflitto ucraino, e abbandonare le altre province al loro destino. E’ così?

No. L’obiettivo dell’intervento di Mosca è tenere i terroristi il più lontano possibile della Russia. Creando una sorta di piccola Crimea in Siria, il resto dei territori resterebbe un campo libero per i terroristi e quindi non allontanerebbe il rischio dalla Russia. Putin vuole eliminare completamente la minaccia terroristica proveniente da Siria e Iraq. Mosca guarda quindi al quadro d’insieme, e non pensa soltanto a difendere le sue basi navali.

 

Per venire all’aereo caduto nel Sinai, secondo lei è stato abbattuto da una bomba?

La possibilità di un’azione terroristica è stata presa in considerazione fin dalle prime ore dopo il disastro. L’ipotesi è che qualcuno abbia inserito di nascosto una bomba sotto l’aereo. Quando è diventato evidente che l’aereo si è spezzato non dopo lo schianto a terra, bensì ancora nel cielo, e che una parte dell’aereo stesso stava bruciando, la pista della bomba è diventata più ovvia. Tanto è vero che tutti, Russia inclusa, hanno preso delle misure di sicurezza.

 

Lei come legge quanto è avvenuto?

La domanda che dobbiamo porci è perché dopo 15 mesi di bombardamenti contro l’Isis da parte di Usa, Arabia Saudita, Turchia, Australia, Francia, Emirati Arabi, Canada e Regno Unito, il Califfato non abbia cercato di fare esplodere un solo aereo dei Paesi che appartengono alla coalizione. Ma non appena la Russia ha iniziato i suoi bombardamenti, subito l’Isis ha deciso di attuare una ritorsione.

 

E secondo lei perché?

Questo ci dice qualcosa su chi c’è dietro il califfato, consentendogli di crescere: significa infatti che gli alleati della coalizione hanno una qualche influenza all’interno dell’Isis. Mentre soltanto i russi non sono i benvenuti in Siria.

 

(Pietro Vernizzi)