Fatto salvo che l’interesse per la politica in questo Paese è, diciamo così, modesto, i dibattiti presidenziali sono quanto di più “exciting” si possa rimediare. Ieri abbiamo fatto il pieno di repubblicani, quelli di serie B e quelli di serie A. Quelli di serie B del tardo pomeriggio (Huckabee, Pataki, Graham e Santorum) lo sa solo dio perché si ostinino a spendere soldi in campagna elettorale. Probabilmente per vanagloria e perché i soldi che spendono sono altrui. Degli altri, i nove che si sono sfidati in prime time su CNN, alcuni ci credono davvero, altri si sentono in dovere di rappresentare un popolo che non pare avere nessuna intenzione di essere rappresentato da loro. Tutti in linea, con al centro Donald Trump, l’inatteso front runner del momento, e poi, uno a destra e uno alla sua sinistra, Cruz, Rubio, Bush, Carlson, Christie, Fiorina, Kasich e Paul schierati in base ai dati dei sondaggi più recenti. 



Per uno nato e cresciuto in Italia a suon di Tribuna Politica con Jader Jacobelli, queste sfide – nonostante la loro durata quaresimale, oltre due ore – sarebbero quasi divertenti se non fosse per il fatto che in ballo c’è il possibile Presidente di un Paese che sembra aver smarrito la sua strada. Non per niente gran parte della battaglia si è svolta sul terreno di terrorismo, sicurezza nazionale e conseguente ruolo e peso delle forze armate. Cose che ci toccano nel vivo, ferite aperte, scenari cupi. Questioni su cui non si scherza, da far tremare le vene ai polsi. 



I Repubblicani sono alla ricerca del loro leader, qualcuno in grado di sconfiggere questa paura e questo senso di fragilità che ci hanno afferrato. Qualcuno capace anche di sconfiggere Hillary Clinton per ridare certezze, lustro e potere internazionalmente riconosciuto a questo Paese: fare tutto quello che questa Amministrazione non è in grado di fare. Ma naturalmente prima di arrivare a Hillary bisogna far fuori i propri compagni di partito. E la cosa non è semplice. 

Siamo a Las Vegas, la città più fasulla di questa terra, con otto politici di mestiere e un mega businessman. La gente comune vede i politici di professione come io vedo Las Vegas e guarda Trump come un personaggio al tempo stesso irreale eppure realista e pratico. Infatti, il nostro Donald domina i polls con oltre il 40% dei consensi (e persino un lieve vantaggio su Hillary). Teatro zeppo e – forse – 50 milioni di americani sintonizzati. Si comincia come in America si comincia tutto, con l’inno nazionale, tutti in piedi e mano sul cuore. Perché certo, vinca il migliore, ma comunque vada è l’America che deve vincere. 



Chi ha vinto? Cominciamo con chi ha perso, con chi credo farebbe bene a lasciar perdere da subito: Kasich, probabilmente un buon uomo innamorato del suo Paese e nulla più; Fiorina, la positivista del 2015 che ci vorrebbe salvare con la tecnologia; Carlson, che probabilmente avrebbe dovuto continuare a fare il neurochirurgo; Christie, che sta bene dove sta a fare il Governatore del New Jersey; Paul, probabilmente quello dotato di maggior buon senso rispetto alla politica estera, ma con poco carisma, troppo di nicchia. E ci metto anche il buon Jeb Bush che a mio avviso ha un solo, irrimediabile difetto: non è portato. 

Cruz è tosto, risoluto, scaltro, Rubio è intelligente, furbo, giovane, Trump è un istrione, un demagogo e pure un animale da palcoscenico. Le sparate di Trump le conosciamo. Durante il dibattito le ha raffinate un pochino, ponendo qualche argine alla sua visibile ostilità per il mondo arabo e per tutti quei paesi (dalla Cina al Giappone) che “si approfittano” degli Stati Uniti. Ieri sera, a differenza delle volte precedenti, gli attacchi a Trump sono stati limitati. Solo Bush c’ha provato tentando di reagire alle stilettate che il super imprenditore gli rifilava dandolo per candidato “morto”. C’ha provato, con scarsissimi risultati essendo, come già detto, poco portato. 

Tra Rubio e Cruz invece sono state scintille a suon di records di voto su immigrazione (con Rubio che votò con i democratici) e finanziamenti alle forze armate (qui è Cruz a essersi mostrato meno patriottico). Cosa se ne ricava? Che oggi come oggi i Repubblicani hanno un cavallo pazzo, Trump, che nessuno è in grado di domare e due contendenti che aspettano un imprevisto che metta il cavallo pazzo fuori gioco per sfidarsi a duello. Un duello che ha in gioco la candidatura alla presidenza, e le gravissime scelte che il nuovo Presidente si troverà a fare. 

Passare due ore ad ascoltare di strategie di guerra, intelligence, bombardamenti aerei e invio di truppe più che farmi pensare al prossimo Presidente mi ha costretto a pensare al significato della vita.