Delegati dei parlamenti rivali in Libia hanno siglato un accordo patrocinato dall’Onu per formare un governo nazionale. Le Nazioni unite lo hanno definito un “primo passo” per mettere fine alla crisi nel Paese. Alcuni membri dei parlamenti di Tripoli e Tobruk, come pure altre figure politiche, hanno siglato l’intesa in un resort nella città di Skhirat in Marocco. I presidenti di entrambi i parlamenti hanno però avvertito che l’accordo è privo di legittimità e che i politici che lo hanno firmato rappresentano soltanto se stessi. Ne abbiamo parlato con Ibrahim Magdud, professore di lingua e letteratura araba nell’Università libica d’Italia.



Professore, qual è il valore dell’accordo siglato a Skhirat?

E’ l’accordo che aspettavano tutti i libici, in quanto rappresenta una prima base per costruire il futuro. Questa intesa è importante, ora bisognerà vedere se avrà seguito e se ci sarà l’appoggio della comunità internazionale.

E’ un accordo che può tenere nel tempo?



Ha delle falle che andranno discusse. Siccome però il tempo corre e il terrorismo avanza, bisogna mettersi d’accordo su un programma sia pur minimo.

In che senso parla di falle?

Il presidente del consiglio è stato affiancato da una commissione di quattro persone, una per ciascuna regione libica. Ogni volta che non si trova l’unanimità si decide a maggioranza. In questo modo però non c’è un presidente del consiglio nella pienezza dei suoi poteri, ma soltanto il rappresentante di un consiglio di amministrazione.

L’accordo è stato firmato da persone affidabili?

Sì, perché da soli rappresentano l’80% della popolazione libica, e sono un punto di riferimento per società civile, partiti politici e parlamentari indipendenti. La comunità internazionale aveva imposto che si trovasse un accordo, a prescindere dai contenuti, purché si mettesse fine al caos. Il prossimo passo sarà tenere delle elezioni generali in tutta la Libia.



Quale ruolo può avere l’Italia nella nuova Libia?

In questo accordo il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, ha avuto un ruolo molto importante, in quanto è riuscito a smuovere delle acque stagnanti. L’Italia ha un interesse importante ad appoggiare questo governo. Oltre alla necessità di combattere l’immigrazione clandestina, c’è il capitolo dell’energia, delle società italiane attive in Libia, di un sistema di sviluppo, di accordi precedentemente presi tra Roma e Tripoli.

Quindi è una questione innanzitutto economica?

A parte i legami storici, nei tre anni precedenti la rivolta contro Gheddafi erano stati sottoscritti degli accordi molto avanzati che riguardavano la stessa partecipazione di capitali libici all’economia italiana, alle banche e ad altre istituzioni. A tutto ciò si sommava l’accordo per i risarcimenti relativi al periodo coloniale.

Quanto è grave la minaccia dell’Isis nella Libia attuale?

La presenza dell’Isis in Libia non è particolarmente significativa, e per evitare che si diffonda ulteriormente basta evitare che la Turchia continui ad appoggiare il califfato. Si tratta soprattutto di militanti stranieri. Se si mettono insieme forze europee, americane, arabe e si comincia a riarmare l’esercito nazionale libico, l’Isis in Libia sarà ricordato soltanto come un brutto sogno.

 

Ma è vero che c’è un legame tra Isis in Libia ed ex gheddafiani?

Probabilmente ci sono dei giovani disperati o delle teste calde che si sono arruolati nell’Isis. Non lo definirei però un fenomeno di massa. Anche gli ex gheddafiani, molti dei quali si trovano in Egitto, non hanno una posizione omogenea. Spesso si fanno delle alleanze scomode, per raggiungere un obiettivo di breve-medio periodo. Ma non dimentichiamoci che quello di Gheddafi era un governo laico.

 

(Pietro Vernizzi)