La linea rossa non è stata oltrepassata. Non quella tracciata dal governo Tsipras, ma quella imposta dall’accordo di salvataggio stipulato lo scorso agosto che prevede che tutta la legislazione economica ellenica debba essere sottoposta alla valutazione preventiva delle istituzioni che rappresentano i creditori, ovvero i partner europei e il Fondo monetario internazionale. E così, per ricevere la tranche di aiuti finanziari da 1 miliardo di euro, il Governo è stato costretto a ritirare la proposta di legge in favore delle fasce deboli. Ma non solo. Atene deve pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale le leggi appena approvate e renderle operative, poi sarà versato il prestito.
La legge “sociale” fa parte di quel “programma parallelo” che Syriza vorrebbe applicare per controbilanciare gli effetti depressivi della riforme lacrime e sangue. Ma l’Ue ha ribadito che la spesa prevista – si parla di 115 milioni di euro – non era iscritta a bilancio. Se ne riparlerà, forse, a gennaio. Non è mancato il lato comico, quando il governo ha accusato l’opposizione di boicottare della legge.
La legge, novanta pagine, è stata ritirata, giovedì scorso, poche ore dopo che il vice primo ministro, Yannis Dragasakis, aveva dichiarato che l’azione di governo prevede l’80% di “programma parallelo” e il 20% di Memorandum. Se poi si va a leggere il testo, i suoi articoli combaciano con le promesse elettorali, quelle di settembre 2015, di Syriza, ovviamente tradotte in linguaggio tecnico. Ed è sicuro che il governo fosse a conoscenza del fatto che la Troika l’avrebbe rigettata. E allora perché depositarla in Parlamento? La spiegazione è semplice, sostiene un commentatore. Inviare alla base “syrizea” il messaggio che il governo vorrebbe ma non può (tattica collaudata negli ultimi cinque anni), che il governo è attento ai problemi sociali e cerca di proteggere la sua base elettorale. Dunque la colpa va imputata ai creditori. Gioco pericoloso che certamente non favorisce la fiducia reciproca.
Questa bi-politica non fa che accrescere nell’opinione pubblica l’incertezza, al punto che, secondo un fresco sondaggio, il 31% non andrebbe a votare. Chi invece esprime il suo voto, per il 20% lo darebbe a Syriza, per il 19% a Nea Dimokratia, mentre il 51% crede che la situazione economica peggiorerà nei prossimi mesi. A meno che Tsipras e il suo governo non sappiano invertire la rotta. L’autocritica fatta dal primo ministro, sul “NYT” e “Channel 4” dovrebbe produrre risultati diversi dagli attuali, tuttavia Tsipras deve fare sempre i conti con il suo gruppo parlamentare.
Quali i punti dell’autocritica? Cinque. Il primo: “Abbiamo perso tempo”. Ma a gennaio-febbraio avrebbe poutto accettare la quinta valutazione del secondo Memorandum, ritirare i 7 miliardi previsti, addossare la responsabilità politica al precedente governo. Invece è stata condotta una battaglia “nominalistica” su come definire Troika e Memorandum. Il secondo: “Alla fine ci sono mancati i soldi e le forze”. Per sei mesi il governo ha imposto il tono alle trattative, mentre le casse pubbliche si svuotavano. Per arrivare alla chiusura delle banche e al controllo dei capitali. Il terzo: “Se avessi saputo tutto questo avrei preso dall’inizio decisioni più coraggiose”. Più coraggio non sarebbe servito con quella maggioranza parlamentare che si è spezzata all’atto delle firma del terzo Memorandum.
Il quarto: “Abbiamo capito che non c’era altro modo. Gli europei e la Germania sono stati molto duri”. Ma l’arroganza e l’inesperienza del governo e dei suoi ministri hanno fatto il resto, perché erano convinti che Syriza avrebbe messo in ginocchio l’Europa, anzi l’avrebbe fatta crollare dalle fondamenta se non avesse accettato le condizioni della sinistra ellenica. E non sarebbe stata la Grecia, un Paese bisognoso di finanziamenti per sopravvivere, a “cambiare l’Europa”. Il quinto: “Non è tanto facile cambiare l’Europa da solo”. Cambiare l’Europa, quando si chiede un prestito agli alleati europei? In prospettiva la politica di scontro con Bruxelles ha più svantaggiato che aiutato quelle forze politiche (Podemos, Cinque Stelle e altri), che mettono in dubbio alcune scelte comunitarie.
A scorrere l’archivio delle notizie di quei mesi ci si accorge che molti commentatori avevano ragione quando rimproveravano al Tsipras I quelle scelte politiche che sono oggi oggetto di autocritica di Tsipras II. Ma allora chi chiedeva al primo ministro “realismo” e “prospettiva” venne bollato come “amico del nemico”. Sei mesi di “gioia” rivoluzionaria pagati molto cari. Andreas Papandreou era solito affermare: “Il Pasok al governo e il popolo al potere”. Era una formula che Papandreou ha potuto applicare perché stampava carta moneta che le sue clientele potevano spendere. Le conseguenze si pagano oggi. Su questa linea si è mosso, secondo tradizione, anche Tsipras, cui sono rimaste solo le clientele. Le porte della Zecca di Stato restano sprangate.
P.S.: Nell’indifferenza più totale, domenica si svolgeranno le primarie di Nea Dimokratia. Quattro i candidati, nessuna proposta politica. Abbondanti accuse e fuochi di artificio politici. Soltanto il sostegno dell’ex primo ministro Kostas Karamanlis (grande “padre” del partito nonostante la sua fallimentare gestione del potere) a favore di Vangelis Meimarakis. Voteranno clientele e camarille. Sicuramente vincerà Meimarakis. Almeno il partito avrà un presidente ironico.