La tensione tra Russia e Turchia dopo l’abbattimento del Sukhoi 24 continua, sia a livello diplomatico sia sul piano militare. Selahattin Demirtas, leader di Hdp, partito dei curdi turchi, mercoledì si recherà a Mosca per incontrarsi con Sergei Lavrov, ministro degli Esteri russo. L’obiettivo ufficiale è cercare di convincere il Cremlino a rinunciare alle sanzioni alla Turchia, anche se in realtà Putin sta tessendo la tela dell’opposizione anti-Erdogan. Nel frattempo Ankara sta cercando di trarre vantaggio dal vuoto di potere nel nord dell’Iraq per creare un’entità statale leale alla Turchia, fino eventualmente ad annettere questo territorio. Proprio con questo obiettivo circa 130 soldati turchi sono stati dispiegati vicino a Mosul. Ne abbiamo parlato con Carlo Jean, generale e analista militare.
Generale, qual è il vero scopo della visita di Demirtas a Mosca?
Il legame tra i curdi e Mosca è una vicenda di lunga data. Non a caso sia i curdi turchi sia quelli siriani in passato sono stati rappresentati da altrettanti partiti comunisti.
L’alleanza tra Demirtas e la Russia può creare problemi politici a Erdogan?
Sicuramente crea problemi politici, ma pur sempre limitati. I russi hanno sempre avuto una particolare amicizia con i curdi. Non credo però che possa crearsi una situazione veramente nuova, anche perché la Turchia ha estremo bisogno di investimenti e di tecnologie occidentali. Di conseguenza per rilanciare la qualità della sua produzione, che è l’unico modo per aumentare le sue esportazioni, la Turchia ha bisogno di Europa e Stati Uniti.
L’Hdp di Demirtas può ricreare l’opposizione che manca in Turchia?
Il principale partito di opposizione in Turchia è ancora il Chp, il partito repubblicano kemalista, con dei legami storici con Fetullah Gulen e con il suo movimento Hizmet.
Nel frattempo la Turchia ha dispiegato dei militari nella zona di Mosul. A che cosa mira?
Dopo la pace di Losanna e fino al 1927, Mosul è sempre stata rivendicata dalla Turchia. Ancora oggi nel bilancio statale turco c’è un articolo dedicato a Mosul. Ankara non ha mai rinunciato al controllo di questa zona abitata da sunniti e turcomanni e da sempre considerata fedele all’Impero Ottomano.
Com’è in questo momento la situazione sul terreno?
La Turchia ha ritirato le truppe dalla zona immediatamente a Nord di Mosul. Ankara è in ottimi rapporti con i curdi irakeni, e in particolare con il clan di Barzani che si contrappone a quello di Talabani. Erdogan sta di fatto monopolizzando il commercio con il Kurdistan irakeno.
Come si spiegano le divisioni all’interno dei curdi?
Tra i curdi irakeni, il clan Barzani è favorevole alla Turchia mentre quello Talabani è legato all’Iran. Nel 1996 tra questi due clan scoppiò un grave conflitto, e Barzani chiese l’aiuto di Saddam Hussein per combattere contro Talabani.
Come andrà a finire il braccio di ferro tra Turchia e Russia?
Continuerà a livello retorico, soprattutto se gli Usa manterranno il loro sostegno alla Turchia. Nonostante l’audacia tattica di Putin, la Russia è in grave difficoltà. Qualora gli Stati Uniti dovessero compiere un’escalation, per esempio distribuendo armi all’Ucraina, la Russia si troverebbe davvero in cattive condizioni.
Sotto quale punto di vista la Russia è in difficoltà?
Soprattutto dal punto di vista economico. Il Pil russo quest’anno è diminuito di quasi il 5%, soprattutto per quanto riguarda la vendita di materie prime e di idrocarburi.
E sul piano militare?
Anche dal punto di vista militare, prima che la Russia torni allo splendore militare di un tempo dovrà passare una generazione. E’ in corso un piano di ammodernamento militare in grande stile, ma ben difficilmente potrà essere sostenuto date le condizioni economiche in cui versa Mosca. In Russia sta inoltre aumentando il dissenso. Per non parlare dei 20 milioni di musulmani presenti nella Federazione Russa, che sono tutti sunniti, tanto che in diverse zone è iniziata un’agitazione se non una rivolta.
(Pietro Vernizzi)