Dopo anni di guerra civile e a nove mesi dall’intervento dell’Arabia Saudita nello Yemen, sembra a rischio anche quella fragile tregua che rappresentava l’unico punto positivo degli incontri avvenuti questo mese in Svizzera tra le parti in lotta. Il dialogo dovrebbe riprendere a metà gennaio, ma nel frattempo sono ricominciati gli scontri nel Nord del Paese tra ribelli Houthi e governativi. I colloqui sono complicati dal fatto che molteplici sono le parti in causa: da un lato, i ribelli Houthi, sciiti appoggiati più o meno direttamente dall’Iran, alleati con i sostenitori del precedente governo presieduto da Ali Abdullah Saleh, dall’altro, i sostenitori dell’attuale governo, presieduto da Abed Rabbo Mansour Hadi e in esilio a Riyadh, appoggiati con bombardamenti aerei e soldati sul terreno dall’Arabia Saudita e da una coalizione di Stati del Golfo, in particolare gli Emirati Arabi Uniti, mentre il confinante Oman ha deciso di non partecipare alla coalizione. Inoltre, è da segnalare la presenza, immancabile, di elementi di al Qaeda e Isis.



La guerra ha già provocato quasi 6mila morti, di cui molti civili, con accuse di crimini di guerra ad entrambi gli schieramenti, e il Paese è ridotto allo stremo, con gran parte dei suoi 24 milioni di abitanti che dipende dagli aiuti umanitari per la sopravvivenza. Il blocco navale imposto dall’Arabia impedisce anche l’arrivo di cibo e medicinali, quasi totalmente importati anche in tempi normali, essendo lo Yemen un Paese povero.



Questo conflitto può sembrare periferico rispetto a quello in atto in Siria o alla lotta contro l’Isis, ma in realtà è estremamente pericoloso per tutta la regione, non solo per lo scontro tra Arabia e Iran, anche se per procura, e per l’ennesima contrapposizione tra sunniti e sciiti, ma perché rischia di far esplodere la stessa Arabia Saudita e altri Stati dell’area.

L’intervento in Yemen non sta dando grandi risultati ai sauditi, che si illudevano forse di intraprendere una breve, vittoriosa spedizione, ed è sempre più costoso per le finanze del Regno, già pesantemente provate dalla guerra provocata dai sauditi stessi sul prezzo del petrolio. Se le due guerre continuassero troppo a lungo, il governo si troverebbe costretto a introdurre misure di austerità del tutto impopolari, con il rischio di disordini e del riaccendersi di pericolose lotte all’interno della numerosissima famiglia reale.



A questi pericoli, già più volte menzionati, si aggiunge il problema della forte minoranza sciita concentrata nella provincia orientale di Qatif, una zona con forte presenza di giacimenti petroliferi, che si sente discriminata e chiede parità di diritti con i sunniti. Un capo religioso degli sciiti della provincia è stato condannato a morte e il governo pare intenzionato a eseguire la sentenza, che provocherebbe probabili gravi disordini. Il governo è anche accusato di non contrastare adeguatamente i miliziani dell’Isis, che hanno già compiuto diversi attentati contro moschee sciite.

Un’ altra minaccia si sta profilando nella provincia meridionale di Najran, regione già contesa tra Yemen e Arabia e annessa a quest’ultima nel 1934, dove è sorto un movimento, sunnita, che chiede l’indipendenza da Riyadh e ha già dato luogo a qualche scontro.

Una situazione potenzialmente esplosiva si ritrova anche nel Bahrain, isola che vive sul petrolio e governata da una dinastia sunnita, ma con una popolazione a maggioranza sciita. Nel 2011, anche il Bahrain ebbe la sua Primavera araba, repressa duramente dal governo con l’aiuto di truppe inviate dall’Arabia Saudita. Le ultime elezioni del 2014 hanno confermato ai sunniti la maggioranza parlamentare e la costituzione del nuovo governo, presieduto da un parente del re. La guerra in Yemen e le turbolenze nella parte orientale dell’Arabia, di fronte all’isola, fanno temere al Bahrein e ai sauditi una possibile saldatura tra gli sciiti di quelle aree e quelli del sud dell’Iraq, sostenuti apertamente dall’Iran.

Il Bahrein è importante anche per gli Stati Uniti, che qui hanno la base della loro Quinta Flotta e che considerano il Paese un loro importante alleato, come l’Arabia Saudita. Quest’ultima è tra i maggiori acquirenti mondiali di armi, in particolare americane e britanniche. Non a caso, recentemente Obama ha approvato una consistente vendita di armi e munizioni ai sauditi al fine di ricostituire le loro riserve.

Evidentemente la guerra in Yemen costa molto anche in materiale bellico e l’industria delle armi è più importante delle cosiddette Primavere arabe, anche per il democratico Obama, che forse vuol farsi perdonare dai sauditi la sua apertura all’arcinemico iraniano.