Una campagna aerea guidata dagli Stati Uniti ha ucciso dieci comandanti del califfato che progettavano attentati in Occidente. Tra i leader uccisi c’è anche Charaffe al-Mouadan, che era direttamente legato ad Abdelhamid Abaaoud, il leader della cellula jihadista che ha colpito a Parigi il 13 novembre scorso. Martedì inoltre le autorità del Belgio hanno arrestato due persone sospettate di stare preparando un attentato contro “siti emblematici” del Paese per Capodanno. Mentre in Italia il ministro dell’Interno, Angelino Alfano, ha ordinato l’espulsione di Adil Bamaarouf, un marocchino che aveva detto di voler “fare esplodere la città di Roma”, capitale “da dove fare iniziare l’Islam”. Abbiamo analizzato la situazione con Fausto Biloslavo, inviato di guerra de il Giornale.
Gli attentati progettati dall’Isis fanno parte di un cambiamento nella sua strategia?
I manuali online dell’Isis parlano chiaramente da tempo della volontà di penetrare in Europa. Uno è particolare si intitola “Islamic Gangs” ed è dedicato alla creazione di bande islamiche fra i giovani europei. In questi manuali non si fa mistero del fatto che la prima fase consiste nel rispondere agli attacchi occidentali in Siria e Iraq con degli atti di rappresaglia. Mentre la seconda fase è quella di una vera e propria sollevazione islamica in Europa.
Quindi i successi della coalizione in Siria e Iraq aumentano il rischio di attentati?
Non è una novità, gli stessi attentati di Parigi del 13 novembre non sono avvenuti in una data casuale. Quel giorno infatti era definitivamente caduta Sinjar grazie ai bombardamenti americani e all’avanzata dei curdi. Sinjar è una città strategica perché si trova sull’autostrada 47 tra Raqqa e Mosul, e collegava quindi il Califfato in Iraq e Siria: la sua caduta ha spezzato in due lo Stato Islamico. Ritengo quindi che si sia scelto di colpire Parigi proprio il 13 novembre anche per una sorta di rappresaglia.
Nel blitz americano che ha ucciso i dieci leader sono state usate anche truppe sul terreno o solo droni?
E’ stata usata una combinazione di entrambi. Nessuna bomba intelligente viaggia del tutto da sola, ma serve una sinergia con un’azione di spionaggio sul terreno. Anche perché l’obiettivo può spostarsi all’ultimo momento, e non è facile colpirlo dall’aria, magari a migliaia di metri d’altezza. Sul terreno ci devono essere quindi sia corpi speciali sia agenti dell’intelligence.
L’Isis vuole colpire nelle capitali occidentali a Capodanno?
L’attacco sventato dalle autorità del Belgio mirava proprio a questo. D’altra parte il Belgio è il Paese europeo che, in proporzione al numero di musulmani, ha il più alto indice di radicalizzazione. Tra i volontari della guerra santa in Siria e in Iraq ci sono 3mila tunisini, su una popolazione di 10 milioni di musulmani. In proporzione l’indice di radicalizzazione in Belgio è nettamente maggiore non solo della Tunisia ma anche di qualsiasi altro Paese arabo.
Quanto è radicalizzata invece la comunità musulmana in Italia?
In Italia non ci sono ancora dei ghetti. Ma secondo un recente sondaggio commissionato dalla Rai, nella comunità musulmana in Italia, composta da minimo 1 milione e massimo 1 milione e 800mila persone, il 12% non si sente integrato e non vuole farlo. E’ un campanello d’allarme che ci dice che questi musulmani italiani sono come chi vive a Molenbeek o in alcuni quartieri di Londra.
C’è un collegamento diretto tra il marocchino espulso e l’Isis in Siria?
No, spesso non ci sono collegamenti diretti né un sistema piramidale di comando e controllo. Fanno eccezione le cellule di fuoco che hanno colpito a Parigi. Queste ultime si erano addestrate e avevano combattuto in Siria, per poi ritornare lungo la rotta balcanica spacciandosi per rifugiati o per profughi siriani.
Per l’Italia la minaccia più diretta viene dalla Libia o dalla Bosnia?
Sicuramente dalla Libia, dove non c’è ancora alcun raid occidentale e la costola del Califfato si sta espandendo dopo avere conquistato Sirte. L’Isis è presente nel Sud e lungo la vecchia strada costiera che va da Sirte a Bengasi, e ora sta puntando sui campi petroliferi. E’ un’espansione che avviene sia nelle città sia nelle aree rurali e che può contare su 3mila uomini in continuo aumento. La tattica è la stessa adottata in Siria e Iraq, e si basa sull’alleanza con forze locali come Ansar Al-Sharia che ha deciso di unirsi al Califfato.
(Pietro Vernizzi)