Le autorità americane stanno indagando ufficialmente sulla strage di San Bernardino in California in quanto “atto di terrorismo”. Lo ha reso noto l’Fbi, secondo cui la scelta è scaturita dopo avere preso in considerazione numerose prove, incluse diverse intercettazioni telefoniche degli attentatori. Al momento non sono stati compiuti arresti, in quanto l’uomo e la donna responsabili del massacro sono stati uccisi dalla polizia mercoledì. Mentre la strage era ancora in corso, uno dei due attentatori, Tashfeen Malik, ha postato su Facebook una dichiarazione di fedeltà al leader dell’Isis, Abu Bakr al-Baghdadi. Ne abbiamo parlato con Michael Herzog, analista strategico israeliano e international fellow del Washington Institute for Near East Policy.



Gli attentati in California sono stati compiuti in nome dell’Isis, ma senza un legame operativo con la Siria. Rappresentano un salto di qualità?

No. L’attentato di San Bernardino non rappresenta una novità, perché ci sono stati numerosi altri casi di musulmani in Occidente che hanno realizzato attentati ispirati dall’Isis, pur agendo di propria iniziativa. Occorre quindi fare molta attenzione, perché in Europa e Nord America ci sono dei giovani musulmani che si sono radicalizzati, seguono l’Isis e ne sono ispirati, e alcuni di loro sono anche in contatto con lo stesso califfato. In questo senso il salto di qualità era stato piuttosto l’attentato di Parigi, e non quello di San Bernardino, perché il primo dei due era stato guidato dalla Siria.



L’intensificarsi degli attentati è una conseguenza del fatto che l’Isis è in difficoltà?

E’ evidente che l’Isis è sotto pressione, ma è ben lontana dall’essere sconfitta. Anzi continua a controllare un territorio considerevole ed è in grado di combattere e reagire. Soprattutto il califfato non è stato scalfito al punto da non essere più in grado di pianificare un attentato terroristico in Europa, tanto è vero che la strage di Parigi era stata pianificata e diretta dalla Siria. I fatti del 13 novembre documentano un cambio nella modalità operativa. Prima di allora gli attentati terroristici in Occidente erano stati solo ispirati dall’Isis, mentre ora sono stati direttamente ideati dai suoi vertici.



Il Bundestag ha votato sì alla missione tedesca in Siria. Che cosa cambierà?

Non penso che 1.200 soldati in una missione non di combattimento possano fare la differenza nella guerra contro lo stato islamico. Lo stesso Regno Unito ha appena deciso di partecipare alla missione con un basso profilo e con numeri modesti. Attualmente siamo assistendo a una campagna aerea di proporzioni limitate che potrebbe indebolire in parte l’Isis ma non è in grado di contenerla ed è molto lontana dallo sconfiggerla. Se l’obiettivo è sconfiggere l’Isis occorre un atteggiamento diverso.

Che cosa dobbiamo fare contro l’Isis?

Se davvero vogliamo sconfiggere l’Isis occorre organizzare una coalizione di forze di terra basata su sunniti e curdi, con l’aggiunta di alcuni elementi internazionali. In alternativa bisogna intensificare in modo considerevole i raid aerei, e aumentare la pressione sulle risorse finanziarie dell’Isis.

Perché allora Israele non partecipa alla missione?

Israele non partecipa ad attività operative ma condivide con l’Occidente i dati dei suoi servizi segreti relativi all’Isis. I membri della coalizione che combatte contro il califfato hanno deciso di non coinvolgere Israele a livello operativo, in quanto è più importante per loro coinvolgere gli Stati arabi. Se Israele decidesse di unirsi alla coalizione, altri Paesi arabi potrebbero essere disincentivati dal farlo a loro volta.

Israele vorrebbe partecipare ma non può?

Israele non partecipa ad attività operative ma condivide con l’Occidente i dati dei suoi servizi segreti relativi all’Isis. I membri della coalizione che combatte contro il califfato hanno deciso di non coinvolgere Israele a livello operativo, in quanto è più importante per loro coinvolgere gli Stati arabi. Se Israele decidesse di unirsi alla coalizione, altri Paesi arabi potrebbero essere disincentivati dal farlo a loro volta.

 

Israele vorrebbe partecipare ma non può?

In realtà Israele ha a che fare con molte altre sfide, quali Hamas e Hezbollah, e quest’ultimo dispone di centinaia di migliaia di missili. Israele non ha quindi interesse a distogliere la sua attenzione su un’ulteriore minaccia, anche se condivide in pieno le preoccupazioni occidentali nei confronti dell’Isis.

 

L’Isis però limita l’influenza iraniana. Come vede Israele questo fatto?

Non è così. La presenza iraniana è molto forte in Siria grazie ad Assad e in Libano grazie a Hezbollah. Teheran controlla le politiche del governo irakeno e sostiene gli sciiti nello Yemen. Ovviamente per l’Iran l’Isis è una sfida, ma questo non significa che limiti la sua influenza nella regione. Dal punto di vista israeliano comunque, almeno per il momento, l’asse guidato dall’Iran è una minaccia più grande, immediata e diretta dell’Isis stesso. Anche se va sottolineato che è così solo per il momento.

 

L’Isis si sta rafforzando anche in Libia?

La situazione in Libia sta peggiorando perché lo stato islamico sta cercando di costruire una ramificazione molto robusta nel Paese. Ora tutti si stanno concentrando su Siria e Iraq, ma ritengo che dovrebbe esserci molta più pressione su quello che fa l’Isis in Libia.

 

L’Italia dovrebbe intervenire militarmente?

Non intendo con questo affermare che vi si debbano inviare delle truppe di terra, ma dovrebbe esserci maggiore cooperazione sia a livello di intelligence sia con le forze locali, in modo da mettere queste ultime nelle condizioni di fronteggiare l’Isis.

 

(Pietro Vernizzi)